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25 gennaio 2015 7 25 /01 /gennaio /2015 16:07

Enorme meraviglia ha destato in me il colossale salone dedicato al centenario di Burri gestito dalla fondazione omonima, meraviglia e stupore perchè non posso, assolutamente non posso credere che delle persone, degne di definirsi tali, potessero guardare le cose esposte in quello stand senza comprendere che nulla avevano a che fare con l'arte (in verità di persone intente a guardare non ce n'erano, tutti si limitavano a mettere dentro la testa, a dare uno sguardo generico in giro per poi abbandonare subito ogni velleità di indagine più approfondita e passare ad altri stands). 

Ma come si è potuto arrivare fino a questo? Quale osceno procedimento ha fatto si che si determinasse la grandezza di un artista privo di qualsiasi capacità e la cui dimensione mentale è attestata dal volto suo, la cui nullità delle attitudini il Lombroso avrebbe velocemente determinato? e come si è potuta decretare la "grandezza" degli altri incapaci come lui che affollano il Gota dell'arte nazionale?

Ve lo spiego, cari collezionisti:

vi ricordate gli anni 70 quando, nei negozi del centro, provavate pantaloni nuovi a zampa d'elefante? "Che meraviglia!" dicevate " di più, di più, più larghi qui in fondo! Ecco, questi, meravigliosi, guarda come coprono tutta la scarpa!!"

Non vi sembrò per nulla strano poi, 20 anni dopo, recarvi nel medesimo negozio ed esclamare, provando ancora nuovi pantaloni: "Così, così, più stretti qui in fondo! Ancora di più! Ecco, questi, che strizzano come cavigliere ortopediche! Che meraviglia!! guarda com'è bella la scarpa tutta scoperta!!"

Non vi passò nemmeno per la testa di sentirvi cretini e non vi sognaste nemmeno di chiedervi perchè vi sembrò bella, nel 70, una cosa e perchè poi, dopo, vi sembrò altrettanto bello il suo esatto contrario.

Cosa era successo? Quello che da sempre succede, che il bello ed il brutto sono categorie che solo pochissime persone sono in grado di individuare personalmente, la massa degli individui è priva di tale facoltà e si limita a giudicare bello ciò che gli viene proprosto dall'alto, cioè da individui od organismi che godano di grande credibilità per la fama che hanno acquisito.

Nella moda ci si rifà a grandi nomi come Armani, Versace, La Perla, e via così con altre entità che possono, in certi casi, arrivare a farvi indossare ciofeche immonde solo perchè ampiamente publicizzate e che paiono poi moltiplicare il loro valore semplicemente perchè indossate da una moltitudine di persone: valga per tutti l'esempio dei jeans contemporanei col cavallo alle ginocchia che non solo i giovani più scemi indossano, ma anche gli adulti rincretiniti che giovani vogliono sembrare.

Bene, questo assurdo procedimento è stato, negli ultimi 70 anni, applicato anche all'arte. Approfittando dell'incapacità della stragrande maggioranza delle persone di determinare autonomamente il "bello" e l' "artistico", una categoria di individui in grado di gestire grandi capitali si è introdotta nel mondo dell'arte (fino ad arrivare ad impossessarsene completamente) con lo scopo di ricavarne immensi guadagni, categoria rappresentata dai "grandi mercanti" che stanno adesso dietro alle gallerie più importanti (non solo di questo nostro Paese) e che decidono cosa deve essere immesso nel mercato e quindi ciò che deve essere considerato "artistico".

Proprio perchè erano semplicemente dei mercanti, fin dall'inizio essi furono ben coscienti del fatto che il mercato artigianale, per sua naturale costituzione, era caratterizzato da bassi cicli di produzione e poteva indurre grossi profitti solo per l'artigiano stesso. Essi ben sapevano che era la produzione industriale che moltiplicava all'infinito i profitti e che li trasferiva, dalle tasche dei produttori-operai a a quelle di chi tale produzione gestiva, cioè le loro.

Il mercato dell'arte seria poi, non era nemmeno artigianale, si muoveva su basi ancora più problematiche in quanto gli artisti, al fine di ottenere opere sempre più importanti, dilatavano i tempi di produzione infinitamente al di là di quelli artigianali, arrivando a lavorare mesi e mesi su una sola opera. Tutto ciò stava esattamente agli antipodi della produzione industriale e dei grandi profitti.

Come si poteva trasformare il mercato dell'arte in mercato industriale? La cosa sembrava impossibile all'inizio, ma la stupidità degli uomini rende possibile ogni cosa, anche la più incredibile. Partendo dal presupposto che la caratteristica basilare del mercato industriale è quella di fare in modo che il prodotto costi il meno possibile all'origine, come si potevano abbassare tali costi all'origine quando gli artisti chiedevano, giustamente, per opere che erano costate loro anche mesi di lavoro, delle cifre astronomiche? semplicissimo, si doveva fare in modo che gli artisti producessero opere di costo iniziale bassissimo perchè loro, i mercanti, potessero pagarle il meno possibile (il sogno era quello irrealizzabile di ogni industriale, cioè quello di arrivare ad azzerare i costi delle uscite) : avrebbero poi provveduto loro, i mercanti, a moltiplicarne il "valore" delle opere una volta che le avessero inserite sul mercato.

Ma come avrebbero potuto, i mercanti, pagare pochissimo le opere agli artisti? semplicissimo, veniva in loro soccorso il primo dei principi industriali: ridurre al massimo i tempi di produzione!

Il primo passo necessario per ridurre tali tempi di produzione fu quello di appropriarsi delle sedi adibite all'esibizione ed alla propaganda delle opere d'arte: gallerie, riviste d'arte, grandi sedi espositive, prima fra tutte la Biennale di Venezia. Una cura particolare venne poi dedicata alle aste.

Scattò anche un'operazione ancora più subdola, la creazione "ad hoc"  di una schiera di "Critici d'arte" che avvallassero le nuove  produzioni artistiche conferendo loro l'aura di artisticità che invece non si sognavano nemmeno di possedere.

Una volta impossessatisi dei media tutto divenne facilissimo, si trattò solo di scegliere degli imbrattatele che con grandi pennellesse riempissero a casaccio grandi tele o che addirittura le ricoprissero con bombolette spray di un unico demenziale colore, ed il gioco era fatto: in questo modo il pittore poteva produrre decine di quadri al giorno che gli si potevano così pagare quattro soldi e non le cifre astronomiche che prima chiedevano per i quadri seri che erano costati loro, nei casi più semplici, almeno degli interi giorni di lavoro. 

Il pittore di ciofeche era poi contentissimo, bastava dargli € 50 a quadro ed era ricco, visto che poteva produrne anche una ventina al giorno (€ 1.000 di guadagno giornaliero!! cosa potevano chiedere di più dei totali incapaci dal cervello di gallina per delle ciofeche su cui, se non publicizzate a tappeto, tutti avrebbero sputato sopra?) ed i mercanti potevano gestire guadagli immensi rivendendoli cadauno a decine e decine di migliaia di euro.

Bastò cominciare ad inserire nel circuito delinquenziale precostituito le ciofeche sopraccitate e tutto si realizzò secondo le loro spettative ed i collezionisti reagirono esattamene come con la moda: come erano passati dai calzoni a zampa d'elefante al loro contrario esatto, cioè a quelli strettissimi, cominciarono anche a passare dai capolavori dell'arte al loro contrario, cioè alle ciofeche, convinti da tutto un sistema espositivo e di critica che le porcate che venivano loro proposte fossero vere opere d'arte.

Come poteva quell'opera essere una ciofeca? era comparsa in pompa magna alla Biennale di Venezia e sulle copertine delle massime riviste specializzate! e poi Pinco Cojones (grande critico spagnolo) e Pallino Truffino (grande critico nostrano), ne avevano parlato per ore a RAI 1 esaltatando l'immensità creativa dell'autore!

Ma il tocco finale veniva e viene dato dalle aste, in quanto ai grandi mercanti basta consegnare, alle succitate vendite pubbliche, le ciofeche prodotte dai loro "pittori" assieme ad un cospicuo assegno immediatamente incassabile, dopo di che quello che avviene in asta non interessa più ai gestori della vendita pubblica medesima:

basta che un emissario dei grandi mercanti provveda allora a collocarsi in sala con la sua palettina numerata in mano ed un altro si piazzi ad un qualsiasi telefono esterno. E' necessario che prosegua a spiegarvi cosa succede appena l'asta comincia?  Ci siete già arrivati da soli probabilmente: i due amichetti cominciano a rilanciarsi addosso fino a che il (loro) dipinto non ha superato il valore massimo di stima.

Si può in questo modo fingere la realizzazione di cifre colossali, tanto nessuna percentuale sarà pagata all'asta nè dall'acquirente nè dal venditore, perchè il gestore della vendita pubblica ha già incassato il suo assegno e quindi fatto il suo bel guadagno garantito fin dall'inizio.

Attraverso queste finte vendite si convincono poi gli acquirenti a comprare altri pezzi simili a quelli venduti in asta in un modo molto semplice, così infatti si esibisce il gallerista: "Ma guardi questo pezzo! ne è stato venduto uno all'asta praticamente identico a 5 milioni di euro e io glielo cedo a € 400.000! Lei non può non afferrare al volo questa occasione incredibile!". Come rinunciare allora, a cotanto "affare"? 

Le finte vendite alle aste servono poi a convincere gli acquirenti-pirla che il prodotto da loro comprato aumenta di valore ogni anno:"Ma che investimento magnifico" dicono ogni volta, "anche quest'anno ho guadagnato una cifra!". Qualche dubbio gli viene quando chiedono di vendere all'asta il loro pezzo (acquistato per € 400.000 da un gallerista) e il gestore (appena ha capito che si tratta di un privato) gli risponde "Benissimo, lo mettiamo con prezzo di riserva a € 30.000". "Come," reagisce il pirla "ma se l'ho pagato € 400.000 ed uno simile l'avete venduto proprio voi a 5 milioni di euro!" "Ma caro signore, se ha quel valore non c'è problema, vedrà che in asta lo realizzerà, noi dobbiamo partire da prezzi bassi per essere certi della vendita!"  Voi credete che il super pirla-privato accetti di metterlo in vendita? ovviamente non ci pensa neanche e si tiene il suo quadro sperando di non essere stato truffato. "Ma si, si dice, se lo avessi messo all'asta sicuramente avrebbe fatto almeno 6 milioni di euro!" e dorme così pirleschi sonni tranquilli.

Quando all'asta vedete ciofeche contemporanee realizzare cifre assurde, state tranquilli, è denaro che nessuno paga ed i quadri "venduti" non sono di privati ma di uno dei grandi truffatori che gestisce il mercato. 

 

Questo è quanto, ma una cosa vogliamo precisare alla fine: il fatto che la novella critica d'arte delinquenziale ha giustificato l'imporsi sul mercato delle ciofeche contemporanee come GENIALE APERTURA CULTURALE A 360 GRADI DELLA CONCEZIONE ARTISTICA ed ai collezionisti non è parso vero di sentirsi appunto, anch'essi, aperti a 360 gradi sul mondo dell'arte.

Voi non sapete, cari collezionisti, come se la ridono Grandi Mercanti e galleristi a vedervi a Bologna come in tutte le altre manifestazioni, APERTI si, MA A 90 GRADI.

Alberto Cottignoli

 

(Questo articolo è in fieri ma ha già una sua struttura estremanente importante e ritengo necessario che venga pubblicato in fretta anche se incompleto.Nei prossimi giorni provvederò a completarlo )

  

 

 

 

 


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25 gennaio 2015 7 25 /01 /gennaio /2015 07:05

 

"LASCIATE OGNI SPERANZA, O VOI CHE ENTRATE"

L'Artefiera di Bologna ha di nuovo tenuto fede alle promesse, come accade oramai da tempo immemorabile il visitatore (lautamente pagante, visti gli € 20 dell'ingresso e € 10 del parcheggio), ansioso di liberarsi per un giorno dalle angustie della realtà contemporanea per calarsi nel mondo fantastico di un'arte che possa dargli una qualche, temporanea consolazione, si è trovato invece sommerso da un diluvio di oscene ciofeche che moltiplicavano all'infinito lo squallore ed il disagio di un mondo esterno a cui aveva cercato per breve tempo di sottrarsi.

Più sano indubbiamente sarebbe stato, per voi visitatori, restare sotto i portici esterni a godervi i delicati effluvi dei tubi di scarico delle auto in transito, sicuramente più goduriosi della visita agli stands di questa fiera, colmi di oscenità spacciate per prodotti artistici. 

I tutori dell'arte (i galleristi), convinti, nella loro beata ignoranza e bruttura interiore di mercanti di infima categoria, che "Arte" significhi sottolineare l'orrore e lo sfacelo del mondo reale, hanno riempito i loro stands di "opere" che autorizzano qualsiasi visitatore dotato di una anche minima sensibilità artistica, all'uso incondizionato del lanciafiamme.

Ed è inutile cercare di acculturare questi "mercanti infami" spiegando loro che l'arte non è semplicemente esaltazione dello squallore della realtà ma il positivo tentativo di volare al di là di quella, con tutta la forza del pensiero e dell'azione, per cercare di migliorarla.

Non uscimmo certo dalle caverne  grazie all'esaltazione della nostra condizione di quasi-animali e della povertà mentale che tale nostro stato riproiettava nella realtà che ci circondava, ne uscimmo bensì cercando di dar corpo a sogni che tale povertà travalicassero, ne uscimmo grazie alla tensione ad un "oltre" finalizzato al miglioramento della triste condizione in cui si viveva e si vive.

La storia dell'Umanità è storia di un pensiero che di secolo in secolo travalicava sè stesso in tentativi di volo al di sopra ed al di la delle brutture del mondo, di un pensiero che da sempre tenta di indirizzare gli uomini verso un futuro ed una realtà migliori e, l'arte vera, da sempre è stata, al di sopra addirittura di filosofia e scienza, l'araba fenice che guidava questo volo verso spazi celesti di incondizionata bellezza.

Sogni irraggiungibili, senza dubbio, ma la stessa storia dell'uomo non si concretizza forse nell'eterno erigersi di immense scale verso il cielo e non sono forse, le cime di queste scale che si protendono oltre le nubi, addirittura al di la dell'infinito, frutto dell'opera dei veri artisti, quelli cioè degni di tal nome?

Pochi pioli per volta ci è dato salire, e la luce del pensiero sempre più, nel tempo, si protende in alto, ma da sempre ci accompagna la certezza che un giorno la lontanissima, misteriosa,  ma luminosa stella a cui tendiamo potrà essere raggiunta. Che importa se al di là di quella un'altra, ancora più misteriosa ma forse ancora più luminosa si proporrà? la grandezza dell'arte sta proprio nel suo infinito procedere, meraviglia per meraviglia, alla guida dell'eterno, infinito cammino degli uomini.  

Non esaltate le brutture del mondo, l'arte è esattamente il contrario.

Ma la bruttura purtroppo sta proprio nel profondo dell'animo di chi tutto il mondo dell'arte coordina: mostri completamente privi di ideali, calati con tutto il loro peso nello squallore di una realtà di cui solamente capiscono i valori materiali.

Dal cibarsi alla defecazione, ecco l'angusto spazio in cui si stringe, per galleristi e mercanti, tutto il mondo dell'arte.

 

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24 gennaio 2015 6 24 /01 /gennaio /2015 04:59

Pubblico l'articolo a 6 pagine (il numero massimo per un artista) che la rivista Arte Mondadori mi dedicò nel 2001

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24 gennaio 2015 6 24 /01 /gennaio /2015 04:11

La piccola esposizione presso Annafietta e soprattutto quella di Piazza del Popolo gestita dalla Cassa di Risparmio di Ravenna hanno avuto una conseguenza piacevolissima, rappresentata dagli articoli sulla Voce di Romagna di Emanuele Palli, un laureato in Lingue Orientali che però sa gestire anche la nostra in modo magistrale e che dimostra una sensibilità artistica ignota alla quasi totalità dei giornalisti e dei critici più affermati.

Scopro poi la motivazione di tale sensibilità: Emanuele ha già pubblicato 4 libri di poesie, si conferma così la mia tesi antica: solo chi produce arte è in grado di comprendere i suoi simili, a poco serve una "laurea in storia dell'arte" per entrare nei segreti meandri compositivi di un'opera d'arte degna di chiamarsi tale. Solo una profonda connessione di stimoli e di intenti tra le due personalità che si incontrano permette di operare in tal modo.

Ho il piacere di pubblicare gli scritti che mi ha dedicato, cominciando dal primo di qualche tempo fa, quando Emanuele vide i miei quadri per la prima volta su un della biblioteca del Caffè Letterario di via Diaz (dove possiedo il "Mio Ufficio"), scusandomi del fatto che ogni articolo si è dovuto dividere in due parti, viste la dimensioni a tutta pagina che presentavano.

 

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17 gennaio 2015 6 17 /01 /gennaio /2015 11:41

 

LEONARDO FU, NEL "CENACOLO" CHE DIPINSE, IL RESTAURATORE DI SE' STESSO

Nell’articolo“Il Cenacolo di Leonardo: il mistero della mano fantasma svelato", ho dimostrato che la mano con coltello senza proprietario, presente nel Cenacolo di Leonardo alla sinistra di Giuda (per chi guarda),  non può essere congiunta a Pietro perché ciò è anatomicamente impossibile (solo una frattura del polso potrebbe permettere di effettuare un tal congiungimento) e, nell’articolo medesimo, la dott.ssa Gamberini, (docente di Disegno Anatomico presso l’Università di Bologna) ha provveduto a dare certezza scientifica a questa impossibilità. Avevamo poi visto come tale mano fosse invece anatomicamente ricongiungibile solo (e dico “solo”) a Giuda (cosa di nuovo certificata scientificamente dalla medesima dott.ssa  Gamberini ).

Nell’articolo successivo poi, “ Il cenacolo di Leonardo, le vere parole di Cristo: Questo è il mio corpo e questo il mio sangue. Le prove”, avevo provveduto ad evidenziare come, nel medesimo Cenacolo, Leonardo non avesse raffigurato (come sostiene da 500 anni la critica) il momento in cui Cristo dice “Qualcuno di voi mi tradirà”, bensì quello (ben più importante e che da sempre costituisce la centralità significante dell’Ultima Cena) in cui egli dice “Questo è il mio corpo e questo è il mio sangue,  cosa comprovata dal fatto che il Redentore indica con le mani appunto il pane ed il vino e soprattutto comprovata dai disegni preparatori (poi non utilizzati) di Leonardo, custoditi al Louvre. In questi disegni infatti (vedi l'articolo), risulta evidente che gli apostoli discutono di cibarie e non di tradimento. Ne consegue, visti gli atteggiamenti degli apostoli che mostrano rabbia e stupore e visti i volti loro medesimi, estremamente  stupiti e rabbiosi, che ci troviamo di fronte non ad una iconografia religiosa ma ad un dipinto umanistico nel quale gli apostoli-uomini, riuniti in quattro Trinità Umane, mostrano visibilmente di non credere all’affermazione di Cristo (“Questo è il mio corpo....etc.) e reagiscono alle sue parole violentemente, giudicandole evidentemente delle sciocchezze.

Sempre nel primo articolo avevo altresì dedotto che il braccio, che ricongiungeva la famosa mano perduta con coltello a Pietro in modo anatomicamente assurdo, era stato dipinto da uno sconosciuto artista chiamato a restaurare quella zona dell'affresco che era decaduta pochissimo tempo dopo che Leonardo aveva finito il lavoro.

Bene, sono passati una decina d’anni da quegli articoli ed ho ripreso in questi giorni lo studio di questa parte dell’affresco perché sussistevano alcuni particolari problematici il cui chiarimento ha portato ad una scoperta di importanza colossale .

Ma andiamo per ordine.

Già allora, pur essendo assolutamente certo di  tutte le conclusioni a cui ero arrivato, mi ero reso conto che restavano le questioni problematiche sopraccitate da risolvere, esattamente queste: 

1)    il fatto che il D’Oggiono, allievo di Leonardo e quindi suo contemporaneo, avesse dipinto una copia del cenacolo (Fig. 0)con il braccio ed il suo errato congiungimento della mano a Pietro già presenti 

 

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                            FIG. 0   Copia del Cenacolo del D'Oggiono

 

2)    Il fatto che, pur nella sua “insensatezza”, anatomica , di collocazione e di dimensionamento , questo “restauro” SI PRESENTAVA DI UNA COMPLESSITA’ TALE DA ESSERE ESTREMAMENTE DIFFICILE  ATTRIBUIRLO AD UN SEMPLICE RESTAURATORE O PITTORE ANCHE PROFESSIONISTA, SEMBRAVA PIUTTOSTO OPERA NON SOLO DI UN PITTORE DI GRANDISSIME CAPACITA’ TECNICHE MA PURE DI GRANDE INGEGNO.

3)    Il fatto che tutte le cose accertate obbligavano a negare la paternità leonardesca del disegno di Windsor col braccio incriminato (FIG. 5), senza poter dare prove concrete dell’errata attribuzione.

Bene, che l’affresco fosse decaduto talmente in fretta da impedire al D’Oggiono di copiare la stesura iniziale in cui il braccio con coltello era collegato a Giuda pareva piuttosto strano, e ancor più strano il fatto che anche tutti gli altri copisti avessero riprodotto l'affresco quando il braccio insensato vi era già stato aggiunto. Tutto ciò implicava una successione rapidissima di tempi piuttosto difficile da verificarsi. Ma un altro particolare rendeva la cosa particolarmente problematica: poteva, il D’Oggiono, allievo di Leonardo, ignorare che quel braccio era pertinente a Giuda e non a Pietro e quindi non aver visto nè i disegni preliminari, nè la stesura originale del dipinto del proprio maestro?

Ma ciò che più stupisce, come già detto, è la STRAORDINARIA ABILITA’ CON CUI IL  SUPPOSTO “RESTAURATORE” COMBINO' ASSIEME PARTI DI CORPI TRA LORO INDIPENDENTI IN MODO TALMENTE VALIDO (ANCHE SE NON CORRETTO)DA POTER REGGERE ALLE ANALISI DEGLI STUDIOSI PER BEN MEZZO MILLENNIO!

Perché, si badi bene, tutto è si, in questa zona del quadro, completamente errato ma, sia la creazione  di parti nuove sfruttando parti dei corpi e dei drappeggi già esistenti, sia il congiungimento con la mano, sia il braccio falso di Giuda reggente la sacca coi denari, arrivano a produrre un insieme di un’organicità talmente complessa da parere opera di una mente molto al di sopra del normale, direi quasi (e già allora lo pensai) opera di un genio CHE, PER QUALCHE RECONDITO MOTIVO SI SIA SENTITO OBBLIGATO AD OPERARE IN TAL MODO INSENSATO.

Ma questo affresco, nelle sue parti originali, è appunto opera di un genio! Non potrebbero, pensai già allora, le “correzioni geniali” ma errate, essere state apportate dallo stesso Leonardo per motivi a noi ignoti?

Ci spinge a pensare in tal modo anche un fatto estremamente importante:

se accettiamo questa ipotesi tutti e tre i punti problematici prima elencati cesserebbero di essere tali.

Ma allora, perchè Leonardo avrebbe "corretto" (ma sarebbe più corretto "alterato"), già in corso d’opera, questa zona dell’affresco?

Un’ipotesi possiamo azzardare, che sicuramente si avvicina al vero, e cioè questa:

il “frate controllore” (sempre nominato dal priore in questi casi) addetto a verificare la correttezza dell’opera e la sua rispondenza a canoni compatibili con la sua collocazione, probabilmente chiese spiegazione a Leonardo degli atteggiamenti incongruenti degli apostoli, tutti stupiti e rabbiosi nei confronti del Cristo: perché si sarebbero atteggiati in tal modo, chiese il “frate controllore”, alle parole “Questo è il mio corpo e questo è il mio sangue”, visto che tale frase prospetta invece salvifiche e  paradisiache conseguenze al genere umano?

Leonardo non poteva parare altro che in un modo, dichiarare che quello non era il momento in cui Cristo diceva quelle parole bensì quello in cui affemava “Qualcuno di voi mi tradirà”. Solo a questa frase gli apostoli avrebbero potuto reagire negli atteggiamenti e con le espressioni che lui aveva dipinto.

Ma il frate controllore non doveva essere un cretino e senza dubbio gli domandò: 

"Come possono capire gli osservatori che Cristo sta parlando del tradimento di Giuda e non del pane e del vino?", visto, tra l’altro, che l’affresco era in un refettorio e che il fulcro storico principale dell’Ultima Cena era appunto l’istituzione dell’Eucarestia e non l’episodio, assolutamente marginale, della denuncia del tradimento.

Leonardo si trovò senza dubbio in difficoltà e il frate succitato non potè senz’altro fare a meno di dirgli:

Ascolta, carissimo, fai in modo che si capisca che qui l’argomento è il tradimento di Giuda altrimenti tanti saluti al tuo compenso.”.

Senza dubbio fu questo il motivo che obbligò Leonardo a "correggere" questa parte dell’affresco in cui appunto era coinvolto Giuda.

Escogitò dunque una soluzione che potesse sostenere la tesi del riferimento di Cristo al tradimento: sostituire il braccio di Giuda con il coltello in mano con un altro braccio con in mano la sacca con i denari, ben in evidenza sul tavolo.

Facile a dirsi ma non a farsi, la cosa implicava la distruzione di gran parte della zona pittorica coinvolta nel rimaneggiamento. 

Ma ciò che preoccupava di più il nostro genio era il fatto che egli aveva progettato l'affresco con un intento ben preciso, quello cioè di trasformare lo storico evento religioso in un manifesto dell'Umanesimo (vedi articolo "Il Cenacolo di Leonardo: manifesto dell'umanesimo rinascimentale"):

pensate che un fenomeno della grandezza di Leonardo potesse rinunciare al grandioso senso iconografico umanista che aveva progettato per quest’opera (vedi il mio articolo “Cenacolo di Leonardo: le vere parole di Cristo”)per trasformarla invece in un normale, pedissequo dipinto che rispondeva ai tradizionali canoni religiosi? Aveva lavorato per mesi e mesi per raggiungere il suo scopo, aveva goduto in maniera indicibile al pensiero di essere riuscito a trasformare addirittura un'Ultima Cena in un quadro che eslatava invece la fede sua umanistica, e all'improvviso avrebbe dovuto far tornare tutto "normale"?

Immagino le notti insotti del nostro Leonardo, passate a studiare il modo di "truffare" il malefico frate che si era accorto di tutto!

E quelle notti, di sicuro tragicissime, non furono sprecate:

infatti, da genio qual era, riuscì ad escogitare un procedimento che accontentasse il “frate controllore”, ma che facesse si che si mantenesse il grandioso impianto umanistico che aveva creato.

Cominciò allora a dare compimento a ciò che aveva architettato: in primo luogo non cancellò quanto già fatto, ma vi ridipinse semplicemente sopra una situazione che rendesse plausibile la denuncia del Cristo nei confronti di Giuda,

MA OPERO’ IN MODO CHE TALE PITTURA SOVRAPPOSTA NON REGGESSE CHE POCO TEMPO DOPO IL PAGAMENTO DEL SUO COMPENSO E CHE, DECADENDO, RITORNASSE ALLA LUCE LA PARTE DIPINTA IN PRECEDENZA, RICONFERMANDO DI NUOVO QUINDI, SIA IL FATTO CHE CRISTO ISTITUIVA L'EUCARESTIA, SIA SENSO PROFONDAMENTE UMANISTICO DELL’OPERA!

Immagino le danze orgiastiche che il Leonardo dovette improvvisare ai piedi dell'affresco una volta che ebbe concretizzata questa idea geniale! e che risate si deve essere fatto alla faccia del "frate controllore" che ammirava soddisfatto il nuovo assetto del dipinto!

Si spiega così il degrado quasi immediato del dipinto, ma tale immediato decadere del colore, attribuito ad un errore di Leonardo, coinvolse invece, praticamente solo questa zona dell’affresco che, essendo molto estesa, produsse storicamente la generica affermazione di cedimento quasi totale dei colori dell’opera.

In nessun altro punto dell’affresco si rilevano infatti i danni macroscopici esageratamente estesi che vediamo nella zona attorno alla famigerata “mano perduta”.

Non posso certo sapere in quale modo Leonardo operò per ottenere il decadimento dei colori sovrapposti, ma due sono le possibilità: o mescolò al colore una sostanza che ne indeboliva mortalmente la coesione o provvide a stendere sopra la parte da sovra dipingere uno strato trasparente di sostanza non assorbente su cui le tempere avrebbero fatto presa  solo per un tempo limitato (già il fatto di lavorare sopra una zona di intonaco già precedentemente dipinta e per giunta il fatto che questo intonaco fosse già secco avrebbe comunque dato al colore ben poca stabilità). 

Bene, direte voi, questo modo di procedere di Leonardo potrebbe risolvere si tutti i problemi, ma è da dimostrare.

Non avrei impostato questo articolo se non fossi arrivato anche ad una dimostrazione del fatto che Leonardo si trasformò in restauratore di sè stesso e questa ci arriva da un’attenta analisi del dipinto prima degli ultimi restauri.

 

 

 img373 PIEGHE DEL GOMITO E AVAMBRACCIO PIETRO

FIG. 1

 

Se osserviamo (FIG. 1) le due rientranze scure di drappeggio A e B che convergono tra loro verso destra e le pieghe di drappeggio C e D, ci accorgiamo che la loro parte superiore individua (assieme al fulcro in cui convergono A e B) una linea frastagliata orizzontale.

 

 img373 BRACCIO PIEGATO PIETRO

FIG. 2

 

In FIG. 2, di nuovo ho provveduto ad indicare, al part. B il fulcro in cui convergono le due pieghe A e B di FIG. 1 e ai part. C il vertice delle pieghe che individuano la linea frastagliata orizzontale.

Ma sotto questa pseudo-linea frastagliata dai drappeggi appare, chiarissima, un’altra linea frastagliata a lei parallela, quella indicata ai punti A.

NESSUN ANDAMENTO DELLE LINEE VERSO IL BASSO QUINDI, BENSI’ VERSO DESTRA, CIOE’ VERSO LA SPALLA DI GIUDA!

 Non è difficile capire adesso che il punto B, ove si raccolgono ampie pieghe di drappeggio, rappresenta il perno interno del piegamento del gomito del braccio di Pietro e che le linee A e C rappresentano la parte inferiore e superiore della manica che copre l’avambraccio di Pietro diretto quindi verso destra, cioè verso la spalla di Giuda.

Possiamo poi notare, socchiudendo gli occhi, che c’è, si, anche una linea che scende verso il basso nel punto D, ma non si tratta che del bordo del mantello dell’apostolo a sinistra con le mani alzate, bordo che era, nella prima fase del dipinto, in parte nascosto dal gomito di Pietro.  Ma come ha esattamente operato Leonardo in questo punto? Molto semplice, nella prima stesura la parte destra (per chi guarda) del mantello dell’apostolo con mani alzate era stata dipinta per intero da Leonardo che aveva provveduto poi (sempre nella prima stesura) a dipingergli sopra il gomito di Pietro ma aveva lasciato visibile tale mantello nella parte bassa (si noti infatti come tale mantello, nella foto ante-restauro sia più scuro nella parte sottostante il gomito di Pietro). Ma perchè questa parte di mantello sottostante il gomito era visibile nella prima stesura, mentre invece ben vediamo nella copia del D'Oggiono (in Fig. 0) che nella seconda stesura questa parte del mantello non è più visibile? Semplicissimo, perchè Pietro NON SI TROVAVA DAVANTI ALL'APOSTOLO CON MANI ALZATE, MA DIETRO DI QUELLO! solo il suo gomito (di Pietro) nascondeva la parte superiore del mantello di tale apostolo perchè inserito tra il suo petto e la mano sinistra alzata! 

 

Ma passiamo a trattare la mano fantasma con coltello.

Riporto poi qui una foto ingrandita di tale mano.

 

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      FIG. 3

Possiamo ben notare (ma la cosa è ben visibile anche in FIG. 1 e 2) la parte superiore del polso di Giuda diretto verso destra al punto B, e tale polso è visibilmente ricoperto da una manica di colore violetto (come la veste che vediamo sul petto di Giuda in Fig. 1-2) di cui è visibile sia il bordo inferiore (punti D) nonché l’orlo finale prospiciente la mano (punti C). Non basta ancora, se si avessero dei dubbi sono perfettamente visibili tre pieghe di drappeggio (punti A) inerenti alla parte di mantello che copriva il braccio destro di Giuda che si congiungeva alla mano con coltello (possiamo infatti vedere come il suo colore sia esattamente identico a quello del mantello che troviamo sulla spalla sinistra di Giuda).

Sul fatto che questa mano appartenesse in origine a Giuda quindi non c’è alcun dubbio e riporto qui adesso la ricostruzione che già proposi nel mio primo articolo sul Cenacolo (“Il Cenacolo di Leonardo: il mistero della mano fantasma svelato”), ricostruzione adesso facilmente deducibile da quanto era ancora visibile prima dell’ultimo restauro.

 

img375 righe rosse

FIG. 4 Ricostruzione delle posture originarie sia della mano con coltello sia della zona prospiciente la mano medesima

 

Come potete vedere, questo disegno ricostruttivo è leggermente diverso da quello pubblicato nel primo, succitato articolo sul Cenacolo (nel quale supponevo che tutta la parte destra del corpo di Pietro fosse dietro l’apostolo con le mani alzate) in quanto mi sono reso conto solo successivamente che il gomito destro di Pietro si trovava invece davanti alla spalla sinistra dell’apostolo con le mani alzate.

Ecco così risolto il mistero della insensata comparsa di Pietro tra i due apostoli (dove non esiste alcuno spazio in cui poterlo inserire):

egli, molto semplicemente, non era “tra” i due apostoli, ma dietro di loro.

Restano solo altre due cose da spiegare:

se prima del restauro recente non c’era traccia del braccio demenziale che congiungeva Pietro alla mano ma, anzi, delle linee orizzontali , com’è poi potuto miracolosamente ricomparire, tale braccio, a restauro ultimato?

La cosa si può spiegare solo in questo modo: non avendo capito i restauratori che il braccio dipinto dal D’Oggiono nella sua copia era assurdo, non essendosi accorti di quanto io ho adesso rivelato e non vedendo traccia nell’affresco del braccio demenziale succitato, hanno pensato che questo fosse nascosto dietro a quanto vedevano dipinto nella zona soprastante la mano, cioè dietro a tutto quello che io ho provveduto a decifrare nelle pagine precedenti! Hanno quindi provveduto ad asportare tutto quanto Leonardo aveva lì dipinto (cioè quello che vedete il FIG. 1 e FIG. 2 e, una volta che si sono accorti che sotto c’era solo la calce bianca di fondo, hanno provveduto, terrorizzati, ha ridipingere ex novo un finto braccio diretto verso la mano solitaria, copiandolo probabilmente dal disegno di Leonardo della collezione Windsor (Fig. 5).

Il braccio destro di Pietro che adesso vediamo nell’affresco non è più quello che dipinse Leonardo, quello decadde molto, molto tempo fa, quello che noi vediamo non può che essere una dissennata opera contemporanea dei moderni restauratori!

La prova che la zona soprastante la mano fu completamente asportata dal restauro per cercare cose che non potevano esistere ci è data dal polso della mano con coltello dove è accaduta la medesima cosa, infatti vediamo chiaramente che qui sono stati completamente asportati sia la manica della veste su polso e avambraccio, sia la parte di mantello prima nettamente visibile che tale braccio ricopriva!

Questa parte fu asportata dai restauratori ovviamente per cercare un raccordo inesistente della mano con il famigerato, assurdo, braccio destro di Pietro.

 

Un altro problema sussiste: perché nell’affresco prima del restauro il braccio destro finto di Giuda proteso sul tavolo con in mano il sacchetto dei denari si presenta ancora integro e non decaduto come accaduto a tutte le parti sovradipinte?

Senza dubbio anche questo braccio decadde in tempi brevissimi come le altre parti, esattamente come voleva Leonardo, e senza dubbio la situazione si ripresentò allo spettatore esattamente identica a com’era prima che il nostro genio fosse costretto a coprirla, ma questo braccio con il sacchetto è il perno che permette di giustificare gli atteggiamenti e le espressioni incongruenti degli apostoli: Giuda con i denari in mano permette di pensare, come già detto, che Cristo stia dicendo “Uno di voi mi tradirà” e non “Questo è il mio corpo e questo è il mio sangue” e giustifica quindi le gestualità e le espressioni dei volti degli apostoli.

In poche parole solo la presenza di questo braccio permette di giustificare la rabbia evidente nei volti e negli atteggiamenti degli apostoli.

Questo braccio è quindi il fulcro fondamentale dell’affresco in quanto permette di ricondurlo su una logica linea rappresentativa: senza di esso, tutto, in quest’opera, diventa incongruente ed incomprensibile.

Sicuramente quindi, dopo che questo finto braccio, dipinto da Leonardo con il sacchetto in mano, decadde e scomparve assieme al sacchetto con i denari (e assieme a tutta la parte soprastante) e si rivelò il vero braccio di Giuda congiunto alla mano con coltello, si provvide immediatamente a far ridipingere (la tempera appare infatti in questo particolare, stranamente integra e compatta) tale braccio col sacchetto, fondamentale per giustificare le parole di Cristo , lasciando invece gli altri particolari (soprastanti la mano) come erano ricomparsi, probabilmente per la difficoltà concretamente esistente di capire come questa parte del dipinto fosse stata concepita.

 

Una cosa ci assilla: il vero braccio destro di Giuda è ancora sotto quello finto o fu raschiato via prima di operare la ridipintura?

Hanno, i moderni restauratori, controllato ai raggi x ed infrarossi tutto il dipinto? Se si, si sarebbero dovuti accorgere dell’esistenza di un braccio sottostante quello finto di Giuda, ma allora avrebbero dovuto anche vedere che nessun braccio diretto verso il basso di Pietro esisteva sotto la pittura soprastante la mano.... forse che i raggi x e l’infrarosso non sono stati usati? Speriamo, almeno si sarebbe salvato, anche se adesso ben nascosto, almeno il vero braccio destro di Giuda.

 

Ma, terminata la dissertazione atta ad accertare la vera situazione in questa parte del dipinto, passiamo alle prove che dimostrano che fu Leonardo stesso a dipingere, perché costretto, sopra le figure precedentemente esistenti, tutta la situazione aliena che possiamo adesso ancora vedere nella copia del D’Oggiono .

Bene, se la situazione che vediamo a FIG. 1 e 2 si è mantenuta fino al 1948, dobbiamo ritenere che a maggior ragione tale situazione ( che è sicuramente quella giusta voluta da Leonardo), che rivela la vera direzione verso destra del braccio di Pietro (cioè sopra la spalla di Giuda), nonché il fatto che Pietro fosse posizionato dietro i due apostoli che gli stanno ai lati e non tra questi, fosse percepibile anche 500 anni fa, quando in questa parte di dipinto avvennero i decadimenti.  

Come fu possibile allora, ad un anonimo restauratore, ignorare le linee ben visibili che individuavano la giusta posizione di Pietro, la direzione verso destra del suo braccio e addirittura la veste sul polso della mano con coltello e il frammento di mantello che lo copriva? e come potè ignorare che categoricamente il polso della mano con coltello dirigeva anch’esso verso destra (cioè verso Giuda) e che tale situazione impediva in maniera più che assoluta qualsiasi possibilità di sviluppo verso l’alto e quindi l'invenzione di quel braccio demenziale?

Si potrebbe ammettere l’invenzione del braccio da parte di un restauratore solo se non vi fossero state le tracce indicative nell’affresco della vera situazione (quelle da me rilevate), ma dato che queste, come possiamo vedere a Fig. 1-2, c’erano, e ben evidenti, è assolutamente impossibile che un restauratore sia intervenuto in tal modo alterando in maniera assurda la situazione precedente ancora ben visibile.

Essendo l'assetto dell'affresco ben visibile, solo chi lo aveva dipinto poteva prendersi la resposabilità di variare tutto in quel modo!

Il fatto poi che le soluzioni adottate siano mostruosamente complesse (anche se errate), realizzabili quindi solamente da un genio, ci da la certezza che solo Leonardo può aver dipinto quel braccio ed adattato alla nuova postura tutto quanto circondava la mano con coltello.

Ciò spiega altresì, sia perchè il D’Oggiono abbia visto l’affresco già con il braccio anomalo inserito (perchè l’opera fu presentata da Leonardo già in quello stato) sia perché nulla egli sapesse di una versione precedente o del un restauro di uno sconosciuto, restauro che effettivamente non c’era mai stato.

Ma una prova ulteriore del fatto che sia stato proprio Leonardo a dipingere quel braccio assurdo (ma necessario per accontentare il frate controllore ed evitare un possibile processo per blasfemia) ce la da adesso proprio il disegno di Winsor (FIG. 5):

 

 12546

                         FIG. 5  Disegno di braccio drappeggiato di Leonardo (collez.                                          Windsor)

 

questo disegno si presenta infatti fortemente comprovante in quanto è giusto presente la parte di spalla necessaria per modificare quella di Pietro già esistente in FIG. 1  da cui il braccio doveva dipendere, ed è invece assente la mano, proprio perché tale mano era già dipinta, risulta quindi chiara la funzione di questo disegno, cioè quella di semplice congiungimento tra le due parti pittoriche già esistenti.

Basta infatti incastrarlo nel contesto che abbiamo a FIG. 1 e 2 ed ecco già ottenuta la situazione copiata dal D’Oggiono.

Non vi possono essere dubbi sul fatto che fu lo stesso Leonardo a modificare il dipinto e a commettere gli "errori" che ho rilevato, tutto infatti arriva a chiudersi così in un perfetto cerchio consequenziale perché proprio questi "errori" (dato che sono di Leonardo) sono un’ulteriore prova del vero significato iconografico dell’affresco:

poteva un genio come Leonardo non rendersi conto della quantità industriale di errori che stava commettendo? No di certo, li commise senz’altro in piena coscienza e per far ciò doveva quindi avere una ragione di colossale importanza:

far si che in un futuro prossimo ridiventasse fruibile il geniale assetto umanistico che aveva dato al suo “Cenacolo” (d'altra parte gli "errori" sarebbero stati visibili solo per poco tempo, poi sarebbero scomparsi per sempre).

Il povero Leonardo non poteva immaginare che invece la stupidità degli uomini avrebbe fatto rivivere per sempre i finti "errori" che era stato costretto a commettere.

Alberto Cottignoli  

 

BREVE SPECIFICA SULLE MIE QUALIFICHE (vedi poi biografia)

Allego una mail speditami da James Beck, massimo esperto mondiale di pittura rinascimentale italiana, Columbia University, New York, con cui collaborai per 5 anni, in cui egli afferma praticamente che io sarei il più grande Storico dell’Arte esistente.

Allego altresì un’intervista del Corriere a Marco Meneguzzo docente di Storia dell’Arte a Brera che sottolinea la correttezza delle mie analisi, in questo caso relative alla Madonna del Parto di Piero della Francesca 

CENACOLO DI LEONARDO:LA MANO CON COLTELLO SENZA PROPRIETARIO-ULTIME SCOPERTE
CENACOLO DI LEONARDO:LA MANO CON COLTELLO SENZA PROPRIETARIO-ULTIME SCOPERTE
CENACOLO DI LEONARDO:LA MANO CON COLTELLO SENZA PROPRIETARIO-ULTIME SCOPERTE

MANZONI IN VATICANO?

Cari colleghi, storici dell’arte, che leggete i capolavori antichi come se fossero tante sciocchezze perché non potete certo mettervi al pari col genio che li produsse, voi, causa l’avvilimento a cui assoggettate la grande pittura, siete i responsabili del tragico accreditarsi nel mondo delle oscene, finte ciofeche dell’arte contemporanea.

Se veramente i capolavori del passato avessero la loro giusta lettura le opere contemporanee apparirebbero in tutta la loro superficialità, faciloneria e stupidaggine, mentre l’incapacità degli addetti al mestiere di capire alcunché delle meraviglie del passato, fa si che avvenga esattamente il contrario.

Verrà il giorno in cui vedremo, in Vaticano, al posto della Pietà di Michelangelo, una scatoletta di merda, si spera almeno ben sigillata?  

Miei cari colleghi “Storici dell’Arte”, che non fate che ripetere stancamente ciò che dissero Berenson e Longhi (che mai, di nemmeno di un quadro capirono qualcosa) e che mi ignorate perché troppo vi spavento, a voi mi rivolgo rifacendomi allo splendido Sordi del “Marchese del Grillo” sperando che capiate la “sottile ironia”:

IO SONO CIO’ CHE PRIMA DI ME NON E’ STATO MAI E CHE DOPO DI ME NON POTRA’ MAI PIU’ VENIRE  E, VOI ……. NON SIETE UN CAZZO.

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3 gennaio 2015 6 03 /01 /gennaio /2015 06:56

Chi crede che il becerismo assolutista del comunismo si sia esaurito attraverso la sostituzione del nome "partito comunista" con le successive definizioni sempre più sciocche, fino ad arrivare addirittura a quella, mostruosamente ipocrita di "Partito democratico", faccia un salto a Ravenna, ultima capitale del comunismo mondiale e avrà modo di ricredersi: 

qui nulla è cambiato, nulla si muove in questa città se non al seguito dell'univoco consenso dei rappresentanti del partito che faceva riferimento alla dittatura assassina e fallimentare di Mosca (e che ha portato alla distruzione economica e morale di tutti i paesi dell'est, ridotti adesso a fornire lavavetri, delinquenti, mendicanti e battone all'Europa occidentale) ed ogni decisione presa da questa amministrazione non fa capo a selezioni meritocratiche come avviene in tutti i paesi civili, bensì al possesso della tessera-chiave del partito che apre le porte a qualsiasi forma di collaborazione con l'amministrazione medesima.

 Lo stesso cittadino più autorevole arriva ad affermare che le persone adibite alla gestione della città non vengono scelte per la loro professionalità e per i loro meriti, ma "PER LA LORO VOGLIA DI FARE". Mi chiedo come si possa avere il coraggio di fare un'affermazione di tal genere: sarebbe a dire quindi, che se un divoratore analfabeta di bambini appena scarcerato ed in cura presso il centro di igiene mentale, potrebbe essere tranquillamente collocato, da questa amministrazione, presso le scuole elementari locali con incarichi dirigenziali. D'altra parte non possiamo non riconoscere il rispetto altamente sociale che in questo modo verrebbe dimostrato dalla nostra geniale amministrazione nei confronti degli appetiti di  questo personaggio "socialmente problematico".

 Sicuramente ai prossimi scolari divorati l'amministrazione non mancherebbe di esprimere la propria soddisfazione per la giusta collocazione effettuata, così perfettamente rispondente alle necessità dell'incaricato. Perchè questa è la metodologia di collazione attuata da questa amministrazione: assoluto disinteresse nei confronti del cittadino e massimo interesse nei confronti della collocazione indiscriminata dei membri del partito al potere.

Ci ritroviamo così con assessori con funzioni culturali privi di laurea (in una città che sforna a ritmi impressionanti laureati destinati a perenne disoccupazione), o a incaricati della gestione artistica che si spacciano per laureati in Storia dell'Arte.

Ma giusto per rimanere nel personale, farò qui presente il fatto che da quasi vent'anni questa amministrazione rifiuta la mia collaborazione gratuita alla gestione artistica di questa città, che richiedo in riconoscimento delle le mie credenziali, non solo di pittore famoso in oriente (Tokyo, Osaka, Taiwan), ma di Storico dell'Arte, di scenografo di un film unico in concorso per l'Oscar nel 98, selezionato ad Hollywood nei 5 del Golden Globe sempre nel 98, unico in concorso al Festival di Berlino e del fatto di essere stato personalmente selezionato nella terna vincente del Davidi di Donatello (Oscar italiano), del Ciak d'oro, etc., etc.

A nulla è servito far presente a questa amministrazione che i miei dipinti valgono cifre altissime in oriente (un mosiaco di cui avevo semplicemente firmato il cartone di cm. 70x70 fu venduto nel 94 a Tokyo per 72 milioni) e che quindi far eseguire un mosaico pubblico firmato gratuitamente da me di m.5x5, significherebbe donare alla cittadinanza un'opera del valore di circa € 2.000.000 mentre qualsisi altra firma locale farebbe perdere all'opera persino il costo delle tessere utilizzate.

Ma accresce il sisappunto il fatto che da 16 anni mi venga negata una mostra personale al M.A.R., personale che mi e dovuta in quanto lo statuto del museo prevede la massima attenzione alle manifestazioni locali, che vengono invece completamente ignorate (si tennero si delle personali relative a Ruffini e Folli, ma semplicemente perchè, guarda caso, essi erano in possesso di solide, secolari tessere del partito comunista). Se fino a 4 anni fa mi arrivavano dal MAR sempre risposte negative senza senso, adesso si è arrivati addirittura a non rispondermi e la direttrice del MAR medesimo, Grazia Marini, oltre appunto a non aver risposto a due mie richieste di personale nei locali da Lei gestiti, addirittura non ha risposto a due mie richieste di colloquio. Tutto questo dopo che, di fronte a testimone, per ben due volte (dopo che mi era stata annullata una mostra a San Domenico, con lettera di conferma dell'Alma Mater, poi rinnegata, per cui avevo lavorato inutilmente per due anni), la medesima Marini (prima di divenire direttrice) mi aveva personalmente detto che la mia sede naturale per una personale era appunto il MAR.

Mi riservo di approfondire l'argomento più avanti, non posso però esimermi dal ricordare a questa amministrazione che essa si trova a gestire questa città CON LO SCOPO DI AGIRE NEL MASSIMO INTERESSE DELLA CITTADINANZA E NON CON QUELLO DI GESTIRE L'ESCLUSIVO , BECERO E DISTRUTTIVO INTERESSE DEL PARTITO CHE E' AL POTERE E DEI SUOI COMPONENTI.

 Sicuramente questo articolo, lungi dal generare un qualche pentimento della locale amministrazione potrebbe produrre solo un ulteriore imbecerimento della persecuzione nei miei confronti, quale, ad esempio, una richiesta ad Equitalia di un'indagine sulle mie entrate: prevengo tale gentile operazione, EQUITALIA HA GIA' PROVVEDUTO A CONTROLLARE LE MIE ENTRATE CORRISPONDENTI A "0" DA MOLTO TEMPO, infatti i quadri commercializzati in oriente sono tutti falsi in quanto non spedisco più opere a Tokyo, nè in altro luogo, fin dal 1998. Ci si chiede infatti come possano essersi tenute 3 mie personali nei Musei di Taipei (Taiwan), una nel 2005 ed una addirittura nel 2007 se non con dipinti falsificati. 

 

 

 

 

 

 

 

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26 dicembre 2014 5 26 /12 /dicembre /2014 07:22

ARCHIVIAZ UFFIZI ANNUNCIAZ

 

Pubblico qui sopra il decreto di archiviazione delle mie denuce di furto e sostituzione o distruzione dell'Annunciazione di Leonardo, denuncia correlata da circa 80 foto comparate che attestavano l'assoluta non corrispondenza del quadro appeso ora agli Uffizi con quello che vi era custodito prima dei restauri del 2000.

      LA DENUNCIA:

 

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La prima cosa da osservare è come la mia denucia per furto, chiara ed inequivocabile (come potete vedere sopra) sia stata completamente ignorata ed il magistrato abbia dichiarato invece "prospettando quasi la sostituzione dell'opera"(?!?!?!?!).

IO NON PROSPETTO UN BEL NULLA, IO HO DENUNCIATO IL FURTO AI CARABINIERI COME BEN POTETE CONTROLLARE QUI SOPRA! 

L'archiviazione procede poi affermando che la mia sarebbe una "ricostruzione soggettiva dei fatti, di per sè opinabile...e non univocamente  ed oggettivamente comprovante i fatti denunciati;"(?!?!?!?!). Come sarebbe a dire? con 80 foto-prova a disposizione che attestano una quantità industriale di mancanze di particolari pittorici ed enormi superfici ridipinte non più corrispondenti all'originale? Il magistrato si può così esprimere facendo finta che le foto non sussistano agli atti, e così è infatti, in quanto egli non fa alcuna menzione del CD con tali foto allegato alla denuncia, nè contesta in alcun modo tali foto, finge semplicemente che non esistano.

Questa "archiviazione"ci dice che, se un qualsiasi cittadino denuncia un omicidio documentato da 40 foto con nome ed indirizzo dell'assassinato, la magistratura riterrà le foto "una ricostruzione soggettiva dei fatti, di per sè opinabile...e non univocamente ed oggettivamente comprovante i fatti denunciati;" dopodichè si rifiuterà persino di fare indagini e di controllare all'indirizzo dell'assassinato se questi sia ancora in vita o meno e archivierà ogni cosa.

 Vi pare che questo sia un corretto procedere della "giustizia"???

Ma non finisce qui, il bello ed incredibile deve ancora arrivare.

La magistratura arriva a dichiarare ANCHE QUESTO:

"...il Cottignoli (cioè io)non può essere considerato persona offesa dal reato, atteso che si tratta di un dipinto di proprietà dello Stato..."

ed incredibilmente prosegue: "

"rilevato infatti che il cottignoli nel caso in esame è un mero denunciante e non persona offesa dal reato in senso tecnico;" Ma ancora più incredibile è il fatto che questa sia proprio la motivazione basilare dell'archiviazione:

"rilevato infatti che per costante giurispondenza se il denunciante non è persona offesa dal reato l'opposizione non è ammissibile,...Dichiara inammissibile l'opposizione proposta da Cottignoli Alberto."

Ma guarda, ed io che avevo sempre pensato che lo Stato fosse un'emanazione della cittadinanza, cioè che fossimo noi stessi!!!!! io che credevo che "Repubblica" derivasse dal latino "res-pubblica" (=cosa pubblica) cioè di tutti i cittadini!!! Ero poi così cretino da non aver capito che anche la nostra Costituzione si sbagliava e che noi non eravamo affatto proprietari dei beni statali.

Che sciocca la nostra Costituzione e che stupidotti noi, poveri cittadini onesti!!

Lo Stato invece, è proprietario assoluto di ogni suo bene e noi non c'entriamo assolutamente nulla... che cretino sono sempre stato!!

Eppure, da ciò che fanno i politici da una cinquantina d'anni avrei dovuto ben capirlo, ma io sono un ingenuo, per fortuna la magistratura (massimo struttura che attesta, senza possibilità di appello, l'onestà delle cose), mi ha fatto chiarezza: noi cittadini non siamo che escrementi ed i politici possono fare, delle proprietà statali, tutto ciò che vogliono.

E pure la rivista "Archeo" si sbaglia a pubblicare questo mese a centro pagina 38 (giusto una citazione tra le centinaia di migliaia che potrei fare da tutta la stampa del mondo e di tutte le epoche) queste righe

img649


Quindi se gli amministratori statali decidono di distruggere tutti i boschi, tutte le spiagge, tutti i musei e le pinacoteche, tutti gli animali dei boschi (in primis le specie protette), tutti gli ospedali statali, tutte le montagne, tutte le acque marine territoriali con flora e fauna che ci vivono, di distruggere esercito, carabinieri e guardia di finanza, l'acqua potabile ed infine l'aria stessa che respiriamo, i cittadini creperanno tutti, si, nel giro di pochissimo tempo,

MA NON DOVRANNO ASSOLUTAMENTE PREOCCUPARSI PERCHE', CI DICE LA MAGISTRATURA, NON SARANNO LESI IN ALCUN MODO.

Ma torniamo al nostro argomento, perchè non è ancora finita.

La magistratura scrive ancora infatti:

"ritenuto, infine, che... i fatti denunciati risalirebbero ad epoca anteriore al 2001(cfr. articolo settimanale OGGI n.51 del 19.12.2001, riportato nel CD allegato alla denuncia) e quindi qualsiasi fattispecie penale astrattamente ipotizzabile, sarebbe ad oggi ampiamente prescritta; ...Dichiara inammissibile l'opposizione proposta da Cottignoli Alberto".

Peccato però che la magistratura sembri non sapere che il furto dei Beni Indisponibili dello Stato si prescriva solo dopo 25 ANNI e che l'Annunciazione di Leonardo sia appunto un Bene Indisponibile dello Stato (come lo stesso magistrato afferma) e che quindi non si possa prescrivere un bel niente.

Questa affermazione è resa possibile dal fatto che si finge che non sussista alcuna denuncia per furto.

State molto attenti se siete onesti, le persone oneste danno oramai solo fastidio se si azzardano a parlare e, se non tacciono, si è incaricata la magistratura di incarcerarle.

FATE COME SENATORI E DEPUTATI (SALVO I GRILLINI) E LE AMMINISTRAZIONI PUBBLICHE, VEDRETE CHE VI ARRICCHIRETE A SPESE DEI VOSTRI CONCITTADINI E NON AVRETE NULLA DA TEMERE.

Alberto Cottignoli 


 

 

 

 

 

 

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15 dicembre 2014 1 15 /12 /dicembre /2014 09:20

 

ALL'INIZIO FURONO SOLO SFERE INFUOCATE CHE SI AGITAVANO PER L'UNIVERSO....POI, IL CALORE SI ESTINSE E RESTARONO, A VAGARE PER L'INFINITO, SOLO SFERE PIETROSE.

DAL CUORE ANCORA PULSANTE DI QUESTE RIEMERSE, POI, IL CALDO MIRACOLO DELLA VITA.

A.Cottignoli

    

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Leonardo cercò, nella profondità delle caverne che penetrano le masse pietrose dei monti, l'origine della vita....

suggerì poi, nel suo "Trattato della pittura", di prendere spunto dalle "macchie"per creare nuove forme e figure.

Sicuramente gli sarebbe piaciuto vedere, dal centro delle pietre, dalle stesse trasparenti macchie loro, prendere origine la vita.

Alberto Cottignoli

 

 

NEL SUO MONDO

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L'ALBERO DELLE LUCI

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LUCI DEL DESERTO

 

 

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VERSO LA LUCE

 

 

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TEMPESTA DI LUCE

 

 

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LA DONNA DELL'ALBERO

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27 novembre 2014 4 27 /11 /novembre /2014 07:06

 

   ANNUNCIAZIONE DI LEONARDO-IL VERO SIGNIFICATO: UNA DICHIARAZIONE D'AMORE

  (PARTE TERZA E ULTIMA)

 

 Che di uomo si tratta e non di angelo, ce lo rivela anche la “non pertinenza” di un particolare mai rilevato, e cioè il ricciolo sbarazzino sulla fronte (fig. 29, part. A) che mai vedemmo in altre figure di questo tipo e che possiamo facilmente assomigliarealla cresta di un gallo.

  BLOG-16-copia-1.jpg

 

                                Fig. 29 Il ricciolo sbarazzino

 

Ulteriore stranezza di questo modo di trattare la capigliatura di un angelo la rileviamo di nuovo agli infrarossi che mostrano come Leonardo avesse intenzione di coronare fronte e tempie con un numero ben più grande di riccioli (fig. 30),

 

img606 

                                       Fig. 30  I riccioli mai dipinti visti all’infrarosso

 

 

riccioli a cui ha poi rinunciato perché assolutamente non pertinenti alla natura angelica bensì a quella umana che tali riccioli utilizza per  esaltare la propria avvenenza (vedi ad esempio come la cosa fosse comune nel periodo rococò), ovviamente nei confronti delle donne, e che quindi assolutamente nulla hanno a che fare (come già detto) con la natura angelica e con un’Annunciazione, a meno che l’annunciante non abbia intenzioni ben precise nei confronti di Maria.

L’aureola poi, appare come una delicata struttura in filigrana stranamente non levitante ma appoggiata alla sommità della testa sulla quale potrebbe benissimo essere fissata con una forcina.

Ma un altro particolare ci rivela la natura umana di questo “angelo”, si tratta dell’albero in secondo piano a cui si sovrappone la mano “benedicente” del medesimo (fig. 29, part. D): qui Leonardo si è esibito in una operazione che io esercito abitualmente nei miei dipinti, ha cioè unificato il primo piano prospettico col secondo. Se noi infatti isoliamo la figura dell’angelo dal contesto (fingendo ovviamente di non saper nulla della sua collocazione in questo dipinto) non possiamo non renderci conto di come sembri che egli regga l’albero tra le dita.

Se noi pensiamo a quanto tempo Leonardo avrà dedicato al disegno preparatorio di questo quadro e al fatto che in assenza di colori (nel disegno quindi) l’effetto è molto più esaltato, ci rendiamo conto di come egli non può non essersi reso conto dell’illusione ottica che produce questa sovrapposizione, se poi riflettiamo sul fatto che le sovrapposizioni di oggetti collocati su piani prospettici diversi rappresentano un colossale errore pittorico (errore che è tra i primi che impara ad evitare un allievo appena arrivato in bottega), non possiamo non avere la certezza che questo effetto ottico è stato volutamente creato da Leonardo.  Assoluta certezza acquisiamo di questo, quando poi ci rendiamo conto del senso che acquista il fatto che la mano stringa tra le dita l’albero medesimo: non il giglio, simbolo di purezza, offre questo personaggio a Maria, bensì l’albero simbolo della vita!

Non possiamo poi fare a meno di notare il ben strano colore che hanno i gigli che

l’ “angelo” stringe nella mano sinistra: anche se gran parte del cromatismo è stato perso non possiamo non rilevare che sono di un delicatissimo quanto stranissimo ed incongruente, rosa (fig. 30, part. B) ed azzurro (fig. 30, part. C). Ma non sono forse questi i colori con cui da sempre si indicano i maschi e le femmine? E la loro unione in un unico stelo non ci riporta forse al medesimo significato di quanto sta accadendo tra i due personaggi in primo piano? Mio Dio, quanto può essere grande una mente che in una sola figura architetta tutto questo? Ma non è ancora finita, uno dei particolari che subito notai fu lo stranissimo sguardo dell’ “angelo”: questo non è lo sguardo di persona che annuncia qualcosa di estremamente definito ad un’altra, come la sua certa “gravidanza”, questo è lo sguardo, esattamente al contrario, di chi ha fatto una richiesta e che aspetta la risposta con l’evidente timore che possa essere negativa! E, l’albero simbolico che porge, ben ci suggerisce quale possa essere stata la domanda.

La dovizia di particolari incongruenti è tale, e particolari tutti concomitanti nel loro significato, che siamo ben oltre la completa certezza del fatto che questo non è un angelo ma un giovane che sta dichiarando il suo amore ad una donna. E che non si creda che tutto ciò “sminuisca” il valore simbolico del dipinto: non è forse il rapporto tra i due sessi la cosa che domina e giustifica le azioni di tutto il genere umano in ogni tempo, passato e futuro? Il substrato subliminare che governa (come Freud intuì) ogni nostro più recondito pensiero? Il “Deus ex machina” che tira i fili di ogni evento che alla nostra debole, carnale umanità si rapporti? Già prima di Freud, Omero ne fu perfettamente cosciente, come possiamo noi, oggi, non riconoscere che anche Leonardo tratta in questo quadro dell’enorme possanza del primo e del più importante degli istinti umani?

 

L’  “ANGELO INCARNATO”

 

Se qualche dubbio ci resta, il genio di Vinci compie in questo dipinto un altro portento che completa la tensione sentimentale con quella erotico sessuale.

  img608

                                                               Fig. 31 L’ “angelo incarnato”                               

 

Non molto tempo fa, fu ritrovato in Germania un disegno di Leonardo che è stato chiamato “L’angelo incarnato” (fig. 31) perché trattasi appunto di un angelo (che angelo sia ce lo dimostra un altro disegno di un allievo di Leonardo (fig. 32) , in cui le ali sono perfettamente percepibili) ma pornograficamente dotato di un fallo eretto (vedi freccia in fig. 30).

 

 

img609

                                                         Fig. 32                                                        

 

Bene, come chiunque si occupi di pittura ben sa, è normale che i pittori nella loro attività puramente disegnativa si scatenino in rappresentazioni estremamente forzate per il semplice motivo che tali rappresentazioni non dovranno (se non storicamente) essere esposte al pubblico, ed è pure noto che tali disegni servono, con la loro violenza, ad inventare nuove strutture, nuove idee che poi, applicate ad affreschi e pitture (che debbano essere esposti al pubblico), vengono filtrate, cioè  ne viene estremamente indebolita la violenza e spesso, se l’argomento è ancora troppo violento, il pittore fa si che quanto vuole significare sia percepibile nel dipinto solo da un punto di vista simbolico o subliminare.

Nel dipingere quest’angelo degli Uffizi, vista l’estrema scabrosità se non blasfemia dell’argomento, Leonardo ha optato per la soluzione simbolica ed ha “tradotto” il disegno tedesco in un’immagine di cui solo un’analisi estremamente attenta può rivelare la natura.

 

BLOG 17 

                     Fig. 33 La strana piega illuminata

 

Vi invito pertanto ad osservare la strana piega presente nella veste dell’angelo

(fig. 33, part. A).

In primis ci rendiamo conto che tale piega non potrebbe essere illuminata (come invece accade) in quanto perfettamente coperta dal busto dell’angelo (tutto il resto attorno ad essa infatti è completamente buio) e questo “errore” ci rivela l’assoluta necessità che Leonardo aveva di renderla evidente, dopodiché, se vogliamo considerare l’ inclinazione virtuale di questa “piega”rispetto al terreno (non l’inclinazione effettiva, dato che tale piega sarebbe, nella realtà, parallela al terreno) ci accorgiamo che essa coincide con quella che ha un fallo in erezione, attributi che, proprio in queste condizioni, così spesso vediamo nei satiri delle ceramiche erotiche greche. Non possiamo poi notare come tale piega abbia, del fallo, anche l’approssimativa lunghezza e lo spessore (circonferenza illusoria), per non parlare del colore rosso, di sicuro non poco pertinente ad una identificazione fallica.

Riguardo alla sua collocazione, se può, ad un neofita, parere un tantino bassa, assicuro che chi di anatomia umana è pratico, sa che si trova nella sua esatta posizione sia per l’altezza sia per la collocazione destra-sinistra.

A parte l’esistenza del disegno dell’angelo incarnato, credete proprio che un genio al pari di Leonardo non si sia reso conto che ad una osservazione indipendente dai canoni prospettici, ciò che lui aveva dipinto assurgeva alla forma, al colore, alle dimensioni, alla posizione nonché alla disposizione di un fallo in erezione? E che casualmente abbia commesso l’errore non solo di illuminare proprio questa piega (che mai avrebbe potuto avere luce) ma di non dipingerne alcun’altra vicino a quella (nemmeno in ombra, esattamente come in gran parte del lago virtuale non appare alcuno stelo d’erba)?

Ma questa falsa illuminazione ha una spiegazione grandiosa: se la piega corresse da una gamba all’altra dell’angelo (com dovrebbe essere) essa sarebbe quasi parallela al terreno e non potrebbe essere illuminata, per arrivare a prendere luce tale piega dovrebbe essere diretta verso l’alto, in posizione pseudo eretta (come il fallo eccitato): solo così si porterebbe fuori dall’ombra del torso dell’angelo nella zona colpita dal sole! Questa piega è un assurdo prospettico che non può che spiegarsi nel modo succitato.

 

Non dimentichiamo poi che il rinascimento fa riferimento in modo quasi ossessivo alla cultura artistica della Grecia classica e che le ceramiche dipinte di quel periodo (unica testimonianza delle pitture su tavola dei grandi maestri di allora) sono ricchissime di satiri che, col fallo eretto, rincorrono menadi fintamente restie. Si può sostenere che il satiro “itifallico” sia forse il personaggio più comune all’interno della figurativa utilizzata nelle ceramiche a figure nere e rosse tra il 550 ed il 450 a.C.

Dulcis in fundo, anche in questa zona d’ombra non sono presenti altre pieghe, esattamente come nella parte sinistra del prato-lago non esiste erba, cosa che rappresenta un grave errore pittorico e che Leonardo compie, assieme a quello dell’illuminazione impossibile, semplicemente per farci capire le sue intenzioni simboliche.

 

IL CONTESTO IN CUI AVVIENE LA DICHIARAZIONE D’AMORE

 

Prima di avventurarci a parlare di Maria è opportuno dare un’occhiata a tutto ciò che circonda i due personaggi principali del dipinto.

La critica storica parla di “giardino” e di uno sfondo cosparso di alberi e cipressi, ed effettivamente così ci appare ad una osservazione superficiale, se però andiamo ad analizzare le varie oggettualità presenti sulla scena e la loro strana disposizione ci accorgiamo che il luogo in cui i due giovani si trovano è ben altro.

La prima cosa che ci inquieta è il fatto che il supporto del leggio sia un sarcofago: il luogo in cui si collocano tali oggetti è normalmente un cimitero.

Che il “giardino” sia circondato da cipressi ancor più ci inquieta in quanto tali alberi sono, fin dall’antichità classica, alberi “mortuari”collocati appunto nei cimiteri, ma se andiamo a controllare la posizione in cui tali cipressi  si trovano, la nostra inquietudine si moltiplica ulteriormente: due si trovano ai lati dell’ingresso del “giardino”, un altro all’estrema destra del “muretto” di destra e l’altro all’estrema sinistra del quadro.

Bene, sottolineerò a questo punto che a Leonardo è stato sempre rinfacciato di aver dipinto i muretti di contenimento del giardino “troppo larghi” (e lo si è quindi accusato di aver fatto un errore pittorico), e ciò effettivamente è vero in quanto non solo essi, come “muretti”, risultano insensati di quella larghezza esagerata, ma pure presentano una superficie pittorica troppo vasta che altera i rapporti di massa all’interno del quadro.

Ma Leonardo non era un cretino, se di questo problema ci accorgiamo noi, figurasi se lui stesso non ne fu più che cosciente!

Affrontiamo allora questi due “muretti” in modo differente, immaginiamo che possano essere (soprattutto quello di destra) non parti visibili frammentarie di un muretto che si estenderebbe a sinistra al di fuori del dipinto, ma che si tratti di due monoliti, di due parallelepipedi, tra loro quasi identici per dimensioni e visibili nella loro interezza (per quanto riguarda la loro parte superiore): se così li intendiamo possiamo ben vedere che i cipressi mortuari risultano posizionati esattamente alle loro estremità.

Se poi consideriamo la strana ed “errata” larghezza che presentano tali monoliti, non ci sovviene il sospetto, ampiamente confortato dal sarcofago in primo piano, che anche questi due monoliti possano essere due sarcofaghi? E il fatto che i cipressi, piantati proprio alle loro estremità ad individuarli, siano “giovani” esattamente come i protagonisti del quadro, non ci fa sospettare che si tratti della loro dimora loro futura , dei tristi contenitori all’interno dei quali riposeranno, quando l’afflato vitale li avrà abbandonati per sempre?

Riguardo all’appartenenza dei due sarcofaghi-muretto ai due personaggi in primo piano, non possiamo fare a meno poi di notare come Leonardo provveda a confermarcela: quello di sinistra si va infatti a conficcare nella schiena dell’ “angelo”, mentre quello di destra si incastra frontalmente nel corpo di Maria.

A riconfermare ulteriormente l’ambito mortuario ricordiamo poi come sia presente (già lo avevamo notato), oltre il “muretto”, un tumulo sepolcrale di chiara fattura etrusca.

Non in un giardino si svolge la scena bensì in un cimitero.

E come può, la commedia della vita e la sua più alta esaltazione, cioè la parabola dell’amore, se considerate nella completezza della sua essenza, non svolgersi all’interno della tragica dimensione mortuaria che attende ogni umana manifestazione alla fine del cammino, come può, vista con occhi consapevoli, non essere vissuta come “sprofondata”, nell’inquietante mistero che tenebroso avvolge ogni nostra, seppur felice, manifestazione vitale, la realtà che veramente trascende, per importanza ogni altra dimensione? Non è forse, il periodo in cui della vita godiamo, una minuscola goccia nell’immenso scorrere dei tempi in cui non esistemmo e in cui più non esisteremo?

Mio Dio, finalmente ci è dato di comprendere appieno perché Leonardo fu ritenuto anche il più grande pittore di tutti i tempi.

 

I “RIPORTI DI CONFERMA”

 

Una parentesi merita la metodologia geniale che Leonardo sempre utilizza nei suoi dipinti e che io definisco dei “riporti di conferma”: egli è infatti ben cosciente della difficoltà di lettura dei suoi dipinti, e soprattutto è cosciente del fatto che, anche colui che fosse in grado di penetrarne il recondito significato, potrebbe avere poi  il dubbio di essersi sbagliato ma non solo, Leonardo è ben cosciente anche del fatto che, anche ammesso che il fruitore acquisisse l’assoluta certezza di quanto da lui scoperto, avrebbe poi degli enormi problemi a trasmettere tale certezza agli osservatori più sprovveduti.

Leonardo ben sa che una mente normale è impossibilitata a credere che esista un cervello come il suo, in grado di elaborare dati pittorici di tale sconfinata complicazione e grandezza (chi di “arte” oggi si interessa è abituato a demenzialità come tagli nelle tele, plastiche bruciacchiate, escrementi in scatola), è per questo che  elabora il procedimento succitato, atto a garantire che ciò che potrebbe essere casuale è invece stato dipinto in assoluta coscienza e finalizzato ad un certo scopo: procedimento che utilizza, come già detto, dei “riporti di conferma”.

Andiamo a verificarne alcuni:

1)    Nel Bacco il profilo umano della montagna è confermato, più in basso,dal suo corrispondente  di identica forma che già abbiamo citato

2)    Il leggio davanti alla Grande Madre è confermato dal leggio più in basso di fronte a Maria

3)    La stessa “Grande Madre” è confermata dalla “Piccola Grande Madre” cioè Maria (madre simbolica non di tutto ciò che è vitale ma solo del genere umano), anch’essa intenta a consultare il libro della vita

4)    La natura del grande tumulo sopra la città, in cui  si apre l’ingresso agli Inferi è confermata, sempre più in basso, dal piccolo tumulo nell’esterno del giardino, su cui vediamo infatti la medesima apertura oscura

5)    I “muretti sarcofagi” sono confermati, più sotto, nella loro natura, dal sarcofago che sostiene il leggio

E potrei continuare con altri particolari “riporti di conferma” presenti in questo dipinto che però riguardano problemi non ancora trattati e con altri “riporti”presenti sempre in dipinti di Leonardo di cui però preferisco non parlare in questa sede perché non ho ancora pubblicato nulla in proposito.

 

  LA FIGURA DI MARIA

 

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                Fig. 34

 

Il percorso che abbiamo fin qui osservato, che va dal sarcofago all’ uomo alato, non si interrompe con l’ “angelo”, ma semplicemente inverte il cammino ed inizia un viaggio di ritorno al contrario, questa volta mortuario, individuato dalla linea dei due sarcofaghi-muretto, percorso che riconfluisce, chiudendo il cerchio, di nuovo a Maria, la “Piccola Madre”.

E’ un percorso di ritorno identico a quello intuibile, in secondo piano, dalla città alla Grande Madre attraverso il passaggio agli Inferi.

E che di Maria qui non si tratti ma di semplice donna, allargata al suo concetto universale di “Piccola Madre”, ce lo dimostrano un’infinità di particolari.

La prima cosa che ci colpisce sono la sua espressione ed il suo atteggiamento:

il suo volto non esprime “gioia frammista a stupore” e il suo atteggiamento non è di “arrendevole compiacimento” come nelle raffigurazioni canoniche, ma esattamente il contrario.

Questo volto esprime “dubbioso ripensamento” e l’atteggiamento corporeo poi, agli antipodi dell’ “arrendevole compiacimento” esprime una “ferma ritrosia”, confermata dalla mano sinistra alzata e dal torso eretto che paiono voler fermare l’interlocutore e chiedere tempo (per quel che riguarda l’aureola, di nuovo ricordiamo che non è “levitante”, ma appoggiata alla testa e quindi può benissimo essere fissata ai capelli con una forcina).

Cosa c’entra tutto questo con la prassi dell’ “Annunciazione” di cristiana memoria? Nulla, assolutamente nulla!

C’entra invece, e come, con la prassi del corteggiamento: è questo infatti l’atteggiamento tipico della donna che si ritrae di fronte alla dichiarazione del pretendente (anche se ne è, magari, perdutamente attratta) e chiede tempo per decidere .

Riesaminando gli atteggiamenti dei due personaggi nel loro complesso dopo queste precisazioni ci rendiamo conto  di come i ruoli siano rovesciati se paragonati a qualsivoglia altra Annunciazione:

è chiaro che in questo quadro è la donna che “pontifica”, è lei che decide, ed è chi le sta di fronte che subisce passivamente ciò che lei si appresta a determinare.

A conferma di tutto questo interviene anche l’azione della mano destra di “Maria”, che sta sfogliando il “Libro della Vita” e questo gesto, che nella lettura iconografica tradizionale era assolutamente superfluo e semplicemente decorativo, assume invece adesso enorme importanza:

potrà Leonardo dipingere qualcosa di superfluo e semplicemente decorativo?

È invece una cosa estremamente importante l’atto che ella sta compiendo, cioè quello della consultazione del “Libro della Vita” finalizzato a decidere se dare o no il proprio consenso al pretendente!

Non è forse, una richiesta di rapporto amoroso, sempre soppesata dalla donna in funzione dei pro e dei contro che essa riterrà di avere nella vita in caso di accettazione? Non passano forse in quell’istante nella sua mente tutti i momenti della sua vita passata e di quella a venire che la vedranno in questa nuova condizione?

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                Fig. 35  Foto a infrarossi della scollatura della Vergine

 

Conferma ulteriormente l’ “umanità” di questo personaggio femminile l’analisi ad infrarossi (fig. 35) che ci rivela come fosse intenzione di Leonardo sia di dipingerle al collo  una ricchissima collana (probabilmente di perle) a triplo giro, con grande medaglione, sia di decorare in maniera molto più ricca l’orlo della scollatura della veste. Con l’aggiunta di questi particolari la “Vergine” si sarebbe trasformata nella perfetta immagine di una nobildonna fiorentina e poco avrebbe avuto a che fare con la proverbiale semplicità del personaggio canonico di Maria.

Ma un altro particolare estremamente inquietante ci convince di trovarci di fronte ad un umanissimo personaggio femminile che nulla ha a che fare con la madre del Redentore: da sempre si è accusato Leonardo di avere commesso un errore madornale in questa figura, quello di aver fatto sembrare che ella abbia tre gambe!

L’impressione è creata dall’aver, il genio di Vinci, dipinto il mantello della Vergine sopra il bracciolo di destra (per chi guarda) dello scranno su cui è seduta.

Sono pienamente d’accordo con questa affermazione, “Maria” sembra effettivamente avere tre gambe (la terza sarebbe nascosta, a destra, sotto il mantello), ma asserire che Leonardo non si sia accorto di questo effetto è semplicemente demenziale, in primis perché se ce ne accorgiamo noi (o un critico che mai si è sognato di esercitare prassi disegnative), figurasi se non se ne accorgeva il nostro genio! E di ciò arriviamo a conferma quando ci rendiamo conto della fatica che deve essere costata a Leonardo dipingere in quel modo anomalo: come poteva non rendersi conto dell’assurda disposizione del mantello? Come si può credere che “casualmente” egli abbia fasciato in maniera demenziale tutto il bracciolo col mantello in modo che ricadesse a terra su entrambi i lati addirittura fino al pavimento, producendo poi, tra il bracciolo e la gamba sinistra di “Maria”, un anomalo insaccamento addirittura di molto superiore a quello tra le due gambe vere?

Smettiamola di dare del cretino al più colossale cervello di tutti i tempi!

Se così “demenzialmente” dipinse, significa che aveva un motivo, sicuramente molto, molto serio per agire in tal modo e che quindi il suo è tutt’altro che un errore.

  BLOG 6

 

                                         Fig. 36 La “gamba di mezzo” cancellata

 

Per capire le ragioni di questo colossale “errore pittorico” rimandiamo a fig. 36 , dove si è provveduto a cancellare la “gamba di mezzo” di “Maria”: non è difficile accorgersi che ella appare adesso in una ben strana posizione, appare cioè con le gambe esageratamente allargate e non possiamo fare a meno di notare che la finta gamba alla nostra destra indica adesso l’entrata della casa e quindi anche  l’alcova al suo interno, dove il letto si presenta di un inquietante ed erotico color rosso (colore che domina anche tutto l’interno),  guada caso esattamente come la piega nella veste in ombra dell’ “angelo”.

Si rivelano qui le attitudini cinematografiche di Leonardo, tanto care al Pedretti, ma che semplicemente si rifanno ad un giochetto che anch’io ebbi modo di produrre nella mia adolescenza, sicuramente conosciuto già in antico e che è appunto il principio ispiratore dei procedimenti cinematografici contemporanei.

Per chi questo giochetto non conoscesse, lo illustrerò proprio utilizzando questa postura della Vergine dipinta da Leonardo.

Prendete un blocco notes e disegnate, in prossimità dei margini esterni, nel primo foglio “Maria” con la gamba centrale eliminata, nel secondo “Maria” con le tre gambe, nel terzo di nuovo la gamba centrale eliminata , nel terzo le tre gambe e via così sempre in alternanza. Bene, se adesso sfogliate velocemente con le dita il blocco notes, vedrete “Maria”che, in movimento compulsivo, continua a stringere ed allargare le gambe!

Questo è l’unico modo di vivificare il disegno e doveva sicuramente essere conosciuto fin da tempi antichissimi, quando la cinematografia era ben lontana dall’ essere anche solo ipotizzata.

Questo spiegato, diventa chiaro che la terza gamba è stata da introdotta da Leonardo “semplicemente” per rappresentare il movimento di accettazione, da parte di Maria, della proposta che l’ “angelo” le sta facendo: dalla postura normale a gambe unite ella passa, in successione cinematografica, a quella di accettazione, storicamente determinata dall’allargamento delle gambe (vedi la Grande Madre nel dipinto di Piero di Cosimo), allargamento che porta ad indicare l’alcova, con riferimento quindi, oltre che all’atto sessuale anche alla procreazione.

Nessuna meraviglia, non è forse, questo atteggiamento di “Maria”, perfettamente complementare alle condizioni in cui si trova la “piega della veste” dell’ “angelo”?

 

IL PERCORSO CIRCOLARE IN PRIMO PIANO

 

Il percorso circolare snodatosi dalla “Piccola Madre” (cioè da Maria e dal suo Libro della Vita), all’ uomo-angelo e quindi ritornato lungo i sarcofaghi alla medesima Maria pare essersi concluso, ma così non è: questo complesso e geniale sunto dei cicli vitali non sarebbe stato completo, Leonardo avrebbe ignorato il meccanismo attraverso il quale la vita riesce a proseguire e perpetuarsi malgrado l’onnipresenza della morte.

E’ per completare veramente tutto il ciclo che Leonardo ha usato l’allargamento delle gambe di “Maria”: la linea indicata dalla terza, finta gamba della donna rappresenta infatti l’uscita dal ciclo chiuso della vita e della morte individuale attraverso la procreazione.

E’  a questo punto poi che Leonardo supera sé stesso: egli è ben cosciente del fatto che anche la vita perpetuata attraverso la procreazione non potrà sfuggire alla morte e quindi far terminare il percorso nell’alcova avrebbe rappresentato un errore., decide allora di proseguire tale percorso attraverso la casa.

Quella dell’inserimento della casa nel viaggio può sembrare un’idea assurda ma Leonardo ci da la conferma di questa sua intenzione attraverso i soliti “errori pittorici”.

Andiamo ad analizzare tutto questo.

Il primo “errore pittorico” è  rappresentato dal punto d’unione tra la casa e il primo cipresso di destra: egli ha fatto corrispondere l’asse centrale del cipresso esattamente con lo spigolo terminale della casa, con tanta esasperata precisione che anche il tronco (pur essendo sottilissimo) si sovrappone allo spigolo succitato.

 

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Fig. 37 Dopo il restauro                     

 

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Fig. 38 Prima del restauro 

 

Questo è un errore pittorico colossale, , cosicchè le due entità (casa e cipresso) si fondono e sono percepite, guardando il quadro nella sua globalità, come unificati. La volontà di Leonardo di farci percepire casa e cipresso unificati come se l’albero fosse il proseguo del muro è poi confermata dal fatto che dipinse la chioma del cipresso molto scura, praticamente identica al colore della casa in modo che con questa si confondesse (vedi fig. 38), ma il restauro ha insensatamente schiarito (e in maniera esorbitante) il muro della casa (fig. 37), cosa che ha adesso praticamente annullato l’effetto di similitudine chiaroscurale. Ci tengo a spiegare il motivo per cui il restauro ha enormemente schiarito questo muro: il coefficiente di scurezza fu senza dubbio prodotto da Leonardo con una velatura bruna passata su uno strato preesistente più chiaro, allo scopo di portare il colore allo stesso livello di scurezza della chioma, ed è probabile che tale velatura sia stata effettuata sopra uno strato si vernice trasparente protettiva (vernice che sempre deve essere passata sulle velature antecedenti rese opache dal seccaggio che impedisce di vedere le esatte condizioni dei rapporti cromatico-chiaroscurali), ma dato che i moderni restauratori, completamente ignari di tecniche pittoriche complesse, sempre asportano gli strati pittorici che trovano stesi sopra le vernici trasparenti protettive, anche in questo caso hanno asportato completamente la velatura scura che Leonardo aveva dipinto.

Faccio poi notare, a riprova della volontà di Leonardo di operare la fusione

casa-cipresso, che per eliminare tale problema gli sarebbe bastato spostare il cipresso di pochi centimetri a sinistra.

Ma Leonardo portò avanti anche un’operazione che dimostra senza ombra di dubbio la sua volontà di far percepire il cipresso e la casa come un corpo unico:   

egli dipinse prima correttamente  sul muro della casa l’ombra dell’ultimo cipresso a destra (mi scuso per non aver pubblicato la foto ad infrarossi dove è chiaramente visibile l’ombra, ma essa è andata persa in archivio, sarà comunque pubblicata appena potrò procurarmene una copia. Essa è però fruibile nel libro di Natali “L’Annunciazione di Leonardo. La montagna sul mare”, Silvana Editoriale), ma poi, accortosi che tale ombra esaltava la presenza del cipresso e quindi tendeva a separarlo dalla percezione della casa medesima, decise di cancellarla, cosa che in effetti fece: possiamo infatti veder agli infrarossi in modo chiarissimo come quest’ombra fosse stata dipinta mentre adesso non ne rimane più alcuna traccia.

Ma quest’assenza rappresenta un altro colossale errore pittorico (l’ombra deve esserci), quindi il nostro genio sa benissimo che l’errore vero è cancellarla. Per quale motivo commette volontariamente un errore del genere? E’ ovvio che tale ombra gli dava fastidio, e per quale motivo gli poteva dare fastidio se non per quello succitato? come poteva infatti il cipresso sembrare fare parte della casa se su di essa se ne proiettava l’ombra a dimostrare che era invece da quest’ultima ben distanziato?

E’ chiaro che Leonardo vuole che il viaggio prosegua e infatti adesso il viaggio prosegue e, dalla vita, di nuovo precipita nella morte, simboleggiata dal cipresso mortuario.

Ma se a qualcuno restano delle perplessità Leonardo è sveltissimo a togliergliele con un altro particolare anomalo:

dove finisce il tronco del cipresso? Non sul mortuario sarcofago, come può sembrare osservando da lontano, ma tra le pagine del Libro della Vita (vedi in fig. 37)!!!

Ci dimostra la volontà di Leonardo di operare questo congiungimento il fatto che per ottenerlo ha dovuto rialzare con arricciamenti opportuni le pagine del libro oltre il limite del sarcofago-muretto.

Tutto ciò va ben oltre ogni umana dimensione:

provate infatti a seguire adesso l’intero percorso, dal libro al sarcofago su cui risiede, allo stagno, all’ uomo-angelo e quindi curvate per il ritorno lungo i sarcofaghi-muretto per poi arrivare alla Vergine e da questa all’alcova, poi da qui alla casa intera ed al cipresso e quindi di nuovo al libro:

che forma assume questo tracciato (fig. 39)?

QUELLA DEL SIMBOLO CHE DA TEMPI IMMEMORABILI SIMBOLEGGIA L’INFINITO! 

 

BLOG 21 

                Fig. 39

 

UN VIAGGIO NELL’INFINITO

 

Siamo arrivati, alla fine, a definire il senso globale di questo capolavoro, senso che lo colloca senza dubbio al disopra di qualsiasi opera d’arte prodotta in tutti i tempi e in tutte le culture.

Perché, questo eterno moto della vita, che si sviluppa all’interno dell’immensità mortuaria che domina questo freddo universo, non distingue popoli, lingue, culture, né fa distinzione tra le specie viventi della fauna nè tra quelle più basse della flora.

E non è, questa, legge che trovi limiti al di là di questa nostra piccola sfera che, roteando, si perde per l’infinità dell’universo, tutto ciò che di vita palpita in qualsiasi recondito recesso di questo “creato”, che purtroppo creato non è, non può che muoversi lungo le contorte linee individuate da questo simbolo.

Se di universalità deve nutrirsi l’arte, cosa di più si poteva fare?

 

FINE, NON SOLO DELLA TERZA PARTE

Alberto Cottignoli

BREVE SPECIFICA SULLE MIE QUALIFICHE (vedi poi biografia)

Allego una mail speditami da James Beck, massimo esperto mondiale di pittura rinascimentale italiana, Columbia University, New York, con cui collaborai per 5 anni, in cui egli afferma praticamente che io sarei il più grande Storico dell’Arte esistente.

Allego altresì un’intervista del Corriere a Marco Meneguzzo docente di Storia dell’Arte a Brera che sottolinea la correttezza delle mie analisi, in questo caso relative alla Madonna del Parto di Piero della Francesca 

ANNUNCIAZIONE DI LEONARDO-IL VERO SIGNIFICATO:UNA DICHIARAZIONE D'AMORE (PARTE TERZA-ULTIMA)
ANNUNCIAZIONE DI LEONARDO-IL VERO SIGNIFICATO:UNA DICHIARAZIONE D'AMORE (PARTE TERZA-ULTIMA)
ANNUNCIAZIONE DI LEONARDO-IL VERO SIGNIFICATO:UNA DICHIARAZIONE D'AMORE (PARTE TERZA-ULTIMA)

MANZONI IN VATICANO?

Cari colleghi, storici dell’arte, che leggete i capolavori antichi come se fossero tante sciocchezze perché non potete certo mettervi al pari col genio che li produsse, voi, causa l’avvilimento a cui assoggettate la grande pittura, siete i responsabili del tragico accreditarsi nel mondo delle oscene, finte ciofeche dell’arte contemporanea.

Se veramente i capolavori del passato avessero la loro giusta lettura le opere contemporanee apparirebbero in tutta la loro superficialità, faciloneria e stupidaggine, mentre l’incapacità degli addetti al mestiere di capire alcunché delle meraviglie del passato, fa si che avvenga esattamente il contrario.

Verrà il giorno in cui vedremo, in Vaticano, al posto della Pietà di Michelangelo, una scatoletta di merda, si spera almeno ben sigillata?  

Ma di chi è la colpa maggiore dell’affermarsi delle porcherie dell’arte contemporanea, oltre a mercanti, critici d’arte e banche, banche che in assoluto anonimato finanziano questo lucroso disastro? I maggiori colpevoli sono i “Grandi Collezionisti”, disgraziati fabbricanti di detersivi, di sardine in scatola, di preservativi  e quant’altro, spesso quasi analfabeti e privi di qualsiasi sensibilità estetica che, magari quando cascano loro i capelli rimediano in maniera geniale col “riporto”, sono loro i veri colpevoli: questa razza disgraziata non compra le opere d’arte perché “gli piacciono”, ma semplicemente perché “gli mancano”, come una moneta o un francobollo! Basta che gli si faccia credere che il pittore è famoso ed ecco che questi colossali pirla ne vogliono possedere un’opera, magari semplicemente per non essere secondi all’industriale amico più fesso di loro. Spesso manco gli interessa guardare attentamente l’opera, basta che sia dell’autore che gli manca.

Al mercato dell’arte tutto ciò non sembra vero: la più orrenda ciofeca può diventare così “oggetto artistico da collezione” cosa che permette di ridurre infinitamente le spese di acquisto presso gli artisti.

Spruzzami una tela tutta d’azzurro con uno spray” dice il mercante all’artista “ci metti pochissimo e puoi farne 50 al giorno, se te le pago € 10 l’una guadagni € 500 al giorno (15.000 al mese) e sei ricco”.

“Io poi” prosegue il mercante “organizzo mostre, articoli sui giornali, pubblicità fittizie con prezzi finti sempre più alti e la gente si convince che sei famoso, allora arrivano quei pirla di “grandi collezionisti” ed il gioco è fatto: sono centinaia di migliaia solo in Italia e non si riuscirà nemmeno ad accontentarli tutti. E man mano che i “pirla collezionisti” abboccano, i prezzi crescono.”

Basterebbe eliminare tutti i grandi collezionisti e l’arte contemporanea tornerebbe finalmente sul binario giusto, quello determinato da chi i quadri li compra perché “gli piacciono”.  Che solo questa è la motivazione corretta per acquistare un’opera d’arte.

Miei cari colleghi “Storici dell’Arte”, che non fate che ripetere stancamente ciò che dissero Berenson e Longhi (che mai, di nemmeno di un quadro capirono qualcosa) e che mi ignorate perché troppo vi spavento, a voi mi rivolgo rifacendomi allo splendido Sordi del “Marchese del Grillo” sperando che capiate la “sottile ironia”:

IO SONO CIO’ CHE PRIMA DI ME NON E’ STATO MAI E CHE DOPO DI ME NON POTRA’ MAI PIU’ VENIRE  E, VOI ……. NON SIETE UN CAZZO.

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25 novembre 2014 2 25 /11 /novembre /2014 21:26

  PARTE SECONDA

 

 

L’INGRESSO AGLI INFERIBLOG XFig. 15 Dopo il restauro

BLOG Z 

                                                         Fig. 15 a   Prima del restauro

 

Un’altra stranezza notiamo poi, in questo piccolo paesaggio che Leonardo dipinse:

al centro della montagna più scura sottostante la Grande Madre si apre una grotta enorme, fig. 15, part. A (per capirne le dimensioni monumentali basta compararla con la torre del porto), tale da farci pensare di trovarci di fronte all’ingresso di un enorme tumulo funerario (Leonardo ben conosceva questo genere di costruzioni, esiste infatti un suo disegno per un monumento che chiaramente si rifà ad un tumulo funerario etrusco), intuizione che trova poi conferma più in basso, in un altro tumulo più piccolo, ben visibile, con tanto di apertura di accesso, dipinto all’esterno del giardino (fig. 16, part. A).

 

BLOG-15.jpg 

                               Fig. 16

 

Che senso ha questa oscura voragine che sovrasta la città? Non serve molto intuito per capirlo: come la Grande Madre, che sovrasta anch’essa la medesima città, rappresenta l’origine della vita, così questo antro oscuro rappresenta la fine della vita medesima.

Poteva Leonardo, dopo aver concepito la Grande Madre, ignorare l’ultimo porto che alla fine attende ogni manifestazione vitale? L’oscura meta che, dai tempi dei tempi ossessiona e sconvolge ogni nostra individuale speranza? No di certo e, memore delle necropoli etrusche (grotte che questo popolo scavava come propria ultima dimora e che coi loro cupi accessi costellano a migliaia le colline tra Firenze e Roma e che egli non poteva non conoscere) dipinse questo enorme antro oscuro che non può che rappresentare quell’accesso agli inferi che così sempre ci descrissero i narratori antichi.

Ho prodotto la foto del dopo restauro (fig. 15) e quella prima del medesimo (fig. 15a) per evidenziare una cosa: Leonardo dipinse al centro della grotta una zona molto scura, quasi nera, e attorno a questa una zona grigio scura che rappresentava le pareti e la parte superiore della grotta ancora debolmente illuminate per riflesso dalla luce esterna (ciò per rendere la grande profondità della grotta medesima), bene, il restauro ha eliminato la parte superiore del grigio e attenuato la zona scura centrale, attenuando così l’effetto di paurosa profondità di questo antro e facendolo sembrare semplicemente più alto. 

 

Pare quindi delinearsi un preciso percorso: dalla Grande Madre, specificatamente dalle sue sorgenti, fluisce l’acqua che (lungo le linee prospettiche che dal fuoco diramano)da origine alla vita (vegetale ed animale), acqua che si concretizza poi in mare (o lago che sia) sulle rive del quale fiorisce la manifestazione più alta della vita stessa: l’uomo e le sue città, dove giungono a massimo sviluppo l’intelletto e la conoscenza.

Ma dove termina poi, il percorso delle manifestazioni vitali, se non all’interno di quel mortuario antro oscuro che attende la fine di ogni viaggio?

Pare poi, quella grotta immane, di nuovo dirigere, per sotterranee trame, al fuoco prospettico, e quindi alla Grande Madre, in quel circolare ritorno, generato dalla attività riproduttiva, che caratterizza ogni manifestazione vitale.

Non è forse, il fuoco del quadro, contemporaneamente, attraverso le linee che da esso diramano o confluiscono, origine ma anche convergenza di tutte le cose?

Questo piccolo rettangolo che si staglia al centro del quadro, è di per sé, col suo percorso circolare così mirabilmente inteso, una manifestazione di grandiosità immane: isolato dal contesto basterebbe da solo a collocarsi tra le massime manifestazioni pittoriche di tutti i tempi! E non siamo invece che all’inizio, ben altro ci attende, più in basso, in questo dipinto!

 

 L’IMMAGINE IN PRIMO PIANO DELL’ANNUNCIAZIONE

 

So che potrà sembrare impossibile, ma il fulcro che regge, dal punto di vista significante, tutta la rappresentazione principale del quadro, non è da individuarsi né nella Vergine né nell’Angelo Annunciante bensì in un oggetto da sempre ritenuto meramente decorativo: si tratta infatti del sostegno del leggio.

Tutto quanto dipinto in primo piano trae origine da questo blocco marmoreo scolpito che conferma ulteriormente, con la sua natura di sarcofago (è ben noto infatti come per questo oggetto Leonardo si sia rifatto al Sarcofago di Desiderio da Settignano in Santa Croce a Firenze, fig. 17) , la lettura iconografica mortuaria della cavità che domina la città soprastante.

 

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                                 Fig. 17  Il sarcofago di Desiderio da Settignano

 

Vita e morte sono i motivi pregnanti che fanno da sfondo a quanto avviene in primo piano in questo quadro, né più ne meno di come accade nella vita reale che sempre si sviluppa, in qualsivoglia sua manifestazione, all’interno dei poli inquietanti della vita e della morte. 

Osserviamo bene, per la prima volta dopo 500 anni, questo “sarcofago-sostegno”, e per “bene” intendo con estrema attenzione alle sue “decorazioni” e ci accorgiamo, con non poca meraviglia, che la parte sinistra di esso è scolpita in modo diverso da quella destra.

  AQUILA CIRCOL PICCOLA

 

                                           Fig. 18 Il sarcofago su cui poggia il leggio

 

Spero che, abituati come si è alla pittura mongoloidale contemporanea, non si creda che durante il rinascimento si potesse dipingere un oggetto con decorazioni simmetriche in modo generico (anzi, in questo caso volutamente diverse) e approssimativo nonché prospetticamente errate come potrebbe appunto fare un disgraziato artista contemporaneo: chi avesse così dipinto avrebbe chiuso la sua carriera in modo velocissimo, anzi, la sua carriera non sarebbe nemmeno cominciata in quanto la correttezza e la perfezione sono la base fondamentale della pittura di quel periodo. Bene, questo anticipato, notiamo che, in tutte le decorazioni visibili nel sarcofago, non c’è rilievo di sinistra che non sia stato reso in maniera diversa dal suo simmetrico di destra.

 

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                               Fig. 19

 

 

Cominciamo con l’analizzare il particolare più macroscopico (fig. 19), e cioè le foglie d’acanto che si raccolgono sotto la voluta sinistra: tali foglie si presentano contorte e rigirate in maniera assurda  (part.X) e non solo, la foglia più in alto è stata aggiunta (non sussiste nella decorazione di destra) e non dovrebbe esistere, mentre le foglie di destra si presentano disposte in maniera assolutamente regolare, perfettamente centrate una sull’altra come prassi  decorativa sottende.

 

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                                                   Fig. 20 Le foglie di destra

 

La disposizione caotica delle foglie d’acanto di sinistra (in contrapposizione alla regolarità di quelle di destra, fig. 20) è macroscopica e non si capisce come mai, in 500 anni nessuno se ne sia accorto,come pure non ci si sia mai accorti di tutte le altre differenze che andrò adesso ad evidenziare.

Ci tengo però prima a chiarire che queste differenze di esecuzione hanno una precisa, importantissima motivazione che ritengo opportuno spiegare solo più avanti, quando altri numerosissimi particolari, da sempre ignorati, interverranno a dimostrare le intenzioni recondite di Leonardo.

                        

 

  BLOG SARC  

                                                   Fig. 21

 

Il secondo particolare anomalo è costituito dalle foglie soprastanti la zampa felina sinistra che funge da piede al sarcofago: notiamo come la foglia centrale sia maggiormente estroflessa (fig. 19, part. G) di quella che vediamo a destra ma soprattutto come siano esageratamente più estroflessi tutti i punti di giuntura tra le foglie (fig. 19, part. F).

Per le comparazioni con la parte destra del sarcofago che seguono, si prega di utilizzare la fig. 21

 

Non possiamo poi fare a meno di notare come i ciuffi d’erba emergenti dovunque in questa zona in basso presentino un numero maggiore di foglie e per giunta molto più allungate di quanto avviene a destra (fig. 19, part. E).

Una cosa particolarissima la notiamo ancora in basso, nella zampa felina di sinistra, che risulta completamente diversa da quella destra (fig. 18) in quanto la prima si trova in evidente tensione determinata dalla compressione degli artigli sul terreno da cui probabilmente si è già in parte distaccata,  mentre la seconda appare praticamente statica e per farci capire come quest’ultima poggi ancora completamente sul prato Leonardo ha provveduto a porle sopra delle foglie.

Notiamo poi come la foglia a sinistra di quelle centrali (fig. 19, part. D) sia esageratamente estroflessa e quindi a noi visibile mentre in una esatta dimensione prospettica non dovrebbe assolutamente essere percepita.

Medesima cosa notiamo per i due “fiori” che sporgono a sinistra (fig.19, part. B), che non dovrebbero prospetticamente essere visibili e pare quindi che essi si siano “allontanati” dalla parete del sarcofago, tanto che ad una osservazione superficiale si tende a viverli addirittura come fiori veri, facenti parte cioè del prato sottostante (tale percezione è favorita dall’aver Leonardo violentemente velato di verde questa zona sinistra del sarcofago, velatura che va ulteriormente a confermare le intenzioni recondite del nostro genio). Come se non bastasse poi, le corolle di questi due fiori non sono più girate l’una verso l’altra, come vediamo in quelli scolpiti nella parte frontale del sarcofago e come prassi decorativa sottende, ma entrambe girate verso lo spettatore.

Non sfugge ad anomalie neppure il festone, in quanto le bacche di sinistra sono molto più estroflesse verso l’esterno di quelle di destra (fig.18, part. B) .

Leonardo ha poi voluto esagerare e ha dipinto in maniera diversa anche i peduncoli che, come corna di lumaca, emergono nella parte finale del nastro decorativo ai lati della conchiglia centrale (fig. 22): a sinistra i peduncoli tirano in alto mentre a sinistra piegano tristemente verso il basso.

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                                             Fig. 22

Notiamo poi ancora, dietro la voluta di sinistra, delle foglie assolutamente anomale (fig. 19, part.C) in quanto si inseriscono verticalmente sulla superficie del sarcofago, sembrano cioè essersi sollevate dalla naturale posizione in cui dovevano essere scolpite, cioè parallele alla superficie marmorea da cui sono state ottenute, ed essersi anch’esse (come i due fiori più sotto) girate verso di noi.

 

Non mancano le differenze anche al centro del sarcofago, dove vediamo le foglie relative allo stelo che assume forma circolare a sinistra (fig. 23, part. A) più grandi delle corrispondenti di destra (fig. 23, part. B).

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                                            Fig. 23

 

Bene, credo che a questo punto sia ben evidente la volontà di Leonardo di dipingere i due lati del sarcofago in maniera diversa, e tale è il suo accanimento che non possiamo non capire come dietro tutta questa sua fatica (dedicata tra l’altro a violare in maniera esasperata ogni legge di corretta decorazione scultorea) debba nascondersi una motivazione di estrema importanza.

Per spiegare l’operato del nostro genio dobbiamo prima analizzare ciò che poggia sopra questo sarcofago, perché da qui dipende ogni altra cosa che si manifesta attorno.

Poggia infatti, sul sarcofago, un elaborato supporto, una specie di sottile cilindro, anch’esso di marmo, modulato e scolpito, che potremmo assimilare ad una specie di grosso stelo.

 

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                                               Fig. 24

 

Le foglie di cui è rivestito non hanno, come può sembrare a prima vista, l’attaccatura in basso, bensì in alto (fig. 24), sono quindi riverse, ripiegate verso il basso, come parti di un bocciolo oramai aperto, come a sottendere lo sbocciare di qualcosa che al loro interno era contenuto. Cosa sia emerso dall’interno di tal “bocciolo” lo possiamo vedere più sopra, si tratta del libro che sta sfogliando la Vergine, che presenta le pagine esageratamente arricciate, cioè esattamente nello stato in cui si trovano i petali appena disciolti dall’angusta oppressione del bocciolo.

Un libro nato da un bocciolo fiorito da una roccia, cos’altro può essere se non anch’esso l’alter ego del grande libro della vita che, più sopra, la montagna in forma di “Grande Madre” stringe al petto?

Cominciamo ad esserci: una volta capito il senso di quel libro sul leggio, illeggibile e quindi imperscrutabile come il senso della vita, perché scritto con un miscuglio di lettere di vari alfabeti, cosa potrebbe rappresentare quel velo trasparente, anch’esso nato dal bocciolo, che emerge al di sotto del libro e verticalmente discende verso il prato sottostante? Non nascono forse, le sorgenti vivificatrici, dalla viva roccia a discendere verso il piano, arricchendo di vita tutto ciò che vanno toccando?

 

Bene, siamo arrivati al dunque, ecco cosa rappresenta il sarcofago:

LA PIETRA DA CUI FIORISCE L’ACQUA VIVIFICATRICE

 

Leonardo ci da poi anche le prove di quanto vuol significare, infatti come il velo simboleggi l’acqua che discende verso il basso, ce lo prova la disposizione delle erbe immediatamente sottostanti al velo stesso, che cedono sotto l’urto dell’acqua come sotto ad una cascata. Esse si piegano infatti mollemente verso sinistra nella zona centrale (fig. 19, part. A)e verso di noi sui bordi della “cascatella” (fig. 19, part. B) esattamente come accade in natura. Come se non bastasse, le escrescenze erbose tra noi e il sarcofago, nella zona antistate le zampe feline (vedi fig. 18), assomigliano stranamente a delle ninfee e se isolassimo questa parte del quadro dal contesto, chiunque la vedesse sarebbe sicuro di trovarsi di fronte alla raffigurazione di uno stagno, cosparso, appunto, di ninfee.

Che di acqua vivificatrice si tratti ce lo dimostra, come già visto, tutta la parte sinistra del sarcofago: tutto quanto toccato dallo scorrere dell’acqua verso il basso, infatti, “PRENDE VITA” e la dimostrazione più evidente del fatto che Leonardo voglia significare proprio questo, sta proprio nelle foglie che si raccolgono sotto la voluta (di sinistra) che furono così dipinte perché assumessero la forma di una testa di rapace (perfettamente fruibile da una certa distanza), ma non solo la testa è visibile ma anche il petto e le ali (Fig. 19, part. Y) del rapace stesso. L’ala di sinistra poi, ha preso ancor più vita e si è distaccata dal sarcofago come se il rapace si accingesse a prendere il volo.

Non mi dilungherò in questa sede nella dimostrazione della volontà di Leonardo di farci percepire una testa di rapace, mi limito a rinviarvi alla lunga trattazione della mia pubblicazione, mi limiterò qui a sottolineare che gli assurdi ed inconcepibili contorcimenti delle foglie non possono non avere una motivazione altrimenti il genio di Vinci avrebbe dipinto le foglie in assoluta regolarità (come canone decorativo prevede) e non si sarebbe inutilmente affaticato a contorcele in tal modo, oltretutto esteticamente disastroso.

Sempre per vivificazione si estroflettono poi le foglie più in basso sopra la zampa felina (fig. 25), e crescono più rigogliosi i ciuffi d’erba dagli interstizi tra di loro.

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                    Fig. 25

Ancora si girano verso di noi e si estendono i fiori sul lato sinistro del sarcofago addirittura fino a sembrar far parte del prato e, la zampa felina, improvvisamente si tende, nervosa, in procinto di balzare in avanti!

Convergono innaturalmente verso di noi, contro ogni logica, le foglie da dietro la voluta e, nella parte sinistra del festone, le bacche si sono dilatate molto più che quelle di destra ed emergono, turgide ed evidenti tra foglie.

Addirittura i peduncoli dei nastri sopra il festone sono stati trattati come cose vive e, direi ironicamente, si protendono anch’essi verso l’alto, a sinistra, come vivificati.

Cosa dire di più? Non si può certo parlare di coincidenze, non possono, una tale quantità di anomalie concomitanti, che confermare in modo assoluto le intenzioni di Leonardo.

Già questa manifestazione di genio è immane, ma non siamo che all’inizio.

 

 

L’ “OMBRA” DELL’ANGELO

 

  BLOG K

                   Fig. 25a   L’ “ombra” dell’angelo

 

Andiamo infatti ad analizzare l’ombra dell’angelo: in primis ricordiamo che da sempre è parso stranissimo che all’ interno di quella non compaiano fili d’erba (come  il restauro ha ben rivelato), l’estensione scura che avrebbe dovuto contenere altra erba anche se molto più scura per via dell’ombra, appare invece assolutamente spoglia e solo sui bordi rintracciamo dei fili d’erba e piccole piante. Fili d’erba che, nella parte superiore, a ben guardare, paiono, alcuni, come se si trovassero sull’orlo di qualcosa, sporgono come sull’orlo di un precipizio (vediamo chiaramente che “penzolano”, non si sa su cosa) e altri, sulla destra,  sembrano  essere immersi in qualcosa che ne attenua la percezione (acqua?). Ci tengo a sottolineare che il procedimento di dipingere una zona erbosa in ombra eliminando la presenza dell’erba è cosa assolutamente demenziale e agli antipodi della buona pittura: quando mai abbiamo visto, nel rinascimento, un pittore, anche mediocre, operare in tal modo? Come mai Leonardo, il più grande di tutti, dipinge questa “sciocchezza”?

Meno strana ci appare la cosa se consideriamo la direzione ideale in cui l’acqua illusoria della sorgente scorre, cioè proprio in direzione dell’ombra.

Bene, ci troviamo di fronte alla finzione leonardesca forse più difficile da credere, ma non può essere che così perché solo questa spiegazione giustifica l’assurda mancanza di erba, il “penzolamento degli steli su qualcosa e l’impressione di immersione di altri:

 l’ombra non è che un minuscolo simbolico stagno creato dalla sorgente che sgorga dal libro (a destra possiamo notare una progressiva sparizione delle tracce d’erba verso sinistra, come se in quella direzione lo stagno divenisse più profondo)!

E’ quindi da questo stagno che traggono esuberante vitalità le piante che crescono attorno a quello nel giardino, una varietà talmente ossessiva che ha fatto pensare ad un giardino botanico ma che semplicemente simboleggia l’universalità della rappresentazione, come le varie lingue in cui è scritto il libro, cioè l’enorme varietà delle piante a cui l’acqua a dato vita nel mondo. Ma non solo a flora e fauna ha dato origine la sorgente: si leva, al suo bordo, anch’esso estremo frutto della potenza creativa dell’acqua, la massima sua manifestazione vitale, l’ Uomo, rappresentato nelle vesti di un angelo appena posatosi sul prato (identica cosa avevamo visto nel paesaggio di fondo, ove alle rive del mare-lago si leva la città dell’uomo).

Che di angelo non si tratti è facilmente arguibile da un particolare che mi chiedo come non sia mai stato notato in 500 anni: le sue ali sono finte, non sono che applicazioni da palcoscenico simili, nell’imbragatura di sostegno, a quelle che io stesso costruii per un film di Pupi Avati, imbragatura la cui conformazione è confermata da un bassorilievo romano rappresentante Icaro e suo padre (fig.26) .

 

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                                Fig. 26 Icaro (particolare di bassorilievo romano)

 

 

 

 

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                          Fig. 27

Nessuno sembra essersi mai chiesto a cosa serva il nastro verde (fig. 27, part. L) che, dalla foglia dietro la spalla, le gira poi attorno e dove questo nastro vada a finire, visto che non ricompare sul petto dell’angelo. Essendo ben in trazione, tale nastro non può che ricongiungersi con quello che stringe il braccio (fig. 27, part.E) esattamente come vediamo nel bassorilievo romano (fig. 26) e che esso, sulla schiena, sia fissato all’ala ce lo conferma la foglia dietro (fig. 27, part. B), particolare che mai vedemmo in alcun altro angelo e che può servire solamente a nascondere l’attacco alla tavoletta che regge le ali finte, esattamente come accade in palcoscenico (ci tengo a ricordare che tali foglie sono spesso utilizzate, come Leonardo ben sa, nei vasi di bronzo, per nascondere le saldature dell’attaccatura dei manici). Questo utilizzo (come appiglio per sostenere il peso delle ali) da finalmente risposta al fatto che il nastro legato al braccio sia sempre stato giudicato esteticamente ed illogicamente troppo stretto (quasi un laccio emostatico).

Alla stranezza del nastro che arriva dalla schiena se ne aggiunge poi un altra, quella del nastro anch’esso chiaramente in tensione, che gira attorno al collo (fig. 27, part. F), esso infatti non è un colletto, come può sembrare a prima vista, in quanto si inclina verso il basso dietro il collo (perché trovasi in tensione) per andare anch’esso a ricongiungersi alla tavoletta su cui sono innestate le ali. Questo secondo nastro ha la funzione di tenerle al centro, funzione svolta invece, nel rilievo romano, dall’imbragatura a croce sul petto.

Ulteriore conferma della corrispondenza con il rilievo ci viene data dall’analisi a infrarossi che rivela come Leonardo avesse progettato addirittura i nastri che si incrociavano sul petto (fig. 28, indicati dalle frecce) a cui ha sicuramente rinunciato per la troppa evidenza che avrebbe avuto un’imbragatura esattamente identica a quella di Icaro.

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                           Fig. 28 Foto ad infrarosso

 

FINE SECONDA PARTE (terza parte di prossima pubblicazione)

Alberto Cottignoli 

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